“Tutto per il bene del Paziente”
di Dorrit Cato Christensen
*Sarebbe interessante tradurre in italiano il libro di Dorrit Cato Christensen, di cui c'è già una versione in danese e una in inglese.
Originale dell'articolo qui:
http://www.madinamerica.com/2016/03/all-for-the-best-of-the-patient/
e qui:
Una storia personale, 18 marzo 2016
Condivido la mia storia a sostegno della Campagna CRPD Divieto Assoluto del Ricovero Involontario e del Trattamento Sanitario Obbligatorio. Questa Campagna è
della massima importanza. Ricovero e trattamento sanitario, quando esercitati
con la forza, sono torture, e devono essere immediatamente aboliti, poiché l’“aiuto
psichiatrico” esercitato con la forza è un paradosso e non ha alcun senso. Può
distruggere la personalità delle persone e la loro fiducia in sé stesse. Può
portare, alla lunga, a disabilità fisica e psichica; e sfortunatamente, come mi
è dato sapere con certezza, può anche dar luogo a morte improvvisa.
Ho
avuto contatti molto stretti con il sistema psichiatrico danese. La mia
cara figlia Luise è stata catturata, per errore, in questo “sistema di
assistenza”, ma non è riuscita a uscirne viva. Mi rattrista dire che
in seguito ho scoperto che il modo in cui Luise è stata trattata
rappresenta la
regola, più che l’eccezione. Dopo aver scritto un libro su Luise e il
sistema
psichiatrico, Dear Luise: A story of power and powerlessness in Denmark’s psychiatric care system (Cara Luise: una storia di potere e di
mancanza di potere nel sistema danese di assistenza psichiatrica)*, molta gente mi ha contattato
da ogni angolo del mondo, per dirmi che la storia di Luise
avrebbe potuto essere la storia di qualcuno dei loro cari.
Come presidente dell’associazione danese Dead in Psychiatric Care” (Morte nella
cura psichiatrica), sono costantemente in contatto con persone disperate
che sono state rinchiuse o che hanno sperimentato qualche forma di Trattamento
Sanitario Obbligatorio (TSO). Tutti loro parlano delle tremende quantità di
psicofarmaci che sono obbligati ad assumere. Si sentono impotenti quando
protestano per gli orribili effetti collaterali, e quando si sentono rispondere
che i disturbi sono aumentati e che quindi le dosi vanno aumentate. Sento espressioni
di compiacimento da parte di
alcuni professionisti del disagio
psichico, sia dottori che infermieri, e della concomitante disumanizzazione dei
loro pazienti attraverso l’indifferenza, le molestie, la coercizione e l’uso
della violenza. Tramite l’esperienza con la mia amata Luise, ho potuto osservare
questo freddo e pericoloso mondo del trattamento sanitario psichiatrico.
Luise è morta nel 2005 quando il suo corpo e la
sua mente non riuscivano più a tollerare i trattamenti inumani. Dopo la sua
morte, ho avuto acceso alla documentazione ospedaliera. Leggere le 600 pagine
della cartella clinica di Luise è stata un’esperienza penosa. Indicano una diagnosi
impersonale, con alcune tracce della coercizione, sia diretta che indiretta, che permeano l'ammasso delle note
grafiche. Luise voleva che l’aiutassi, ma gli psichiatri non volevano ascoltare
la mia opinione, credevano di saperne di più. Così, impotente, ho osservato come
Luise andava deteriorandosi sia fisicamente, che psicologicamente. Sono stata
testimone di arroganza e disonestà, di ripetute diagnosi errate, di collusioni
professionali, di sparizione di documenti ufficiali e grafici clinici falsificati.
Luise iniziò questo percorso nel 1992, all’età di
18 anni. Pensava di doversi sottoporre ad un controllo psichiatrico senza
psicofarmaci, ma invece è stata sottoposta a pesanti trattamenti con psicofarmaci
fin dal primo istante in cui ha messo piede in ospedale. Dopo otto giorni stava
per morire a causa dell’avvelenamento provocato dagli psicofarmaci. Ciò
accadeva nell’agosto del 1992. A ottobre del 1992 era ancora profondamente
segnata da questo avvelenamento. Io non ho alcun dubbio che abbia subito danni
cerebrali dovuti ai trattamenti subiti. Invece di curare queste ferite, gli
psichiatri hanno deciso di aumentare gli psicofarmaci.
Luise disse di no. Sosteneva che gli psicofarmaci
l’avevano fatta ammalare gravemente, come effettivamente era avvenuto. Gli
psichiatri hanno interpretato questi suoi argomenti come ulteriore sintomo della sua
malattia. Poco dopo il trattamento sanitario obbligatorio iniziò tramite
iniezioni, insieme alla contenzione fisica.
Ha lottato per due mesi con queste terribili
droghe. Il personale medico ha ovviamente sempre vinto la battaglia, attraverso la forza
fisica, le cinghie di cuoio e le siringhe.
A un certo punto Luise smise di lottare. Era
stata spezzata. Il mio cuore sanguina quando leggo gli appunti dell’11 Novembre
1992. Due mesi e mezzo dopo che lei aveva contattato la guardia psichiatrica
per un aiuto, l’annotazione recita: “Oggi la
paziente non offre alcuna resistenza fisica, ma è ansiosa di prendere le
medicine e stringe le mani (degli psichiatri…), dopodiché piange”.
Dopo aver letto le annotazioni, mi rendo conto
che la coercizione, sia esplicita che sottaciuta, gioca un ruolo ben maggiore
di quanto non avessi mai immaginato.
Inizialmente Luise ha lottato e la cosa ha dato
luogo a misure ritorsive a lungo termine. Mi sono resa conto che anche la sola
minaccia di misure di ritorsione era sufficiente perché Luise si arrendesse. E’
la stessa storia che sento dire da molte delle persone che mi contattano. Ad un
certo punto, tutti si arrendono.
Il 14 Luglio 2005, all’incirca alle 4 del
pomeriggio, Luise ha sperimentato per l’ultima volta questa crudeltà, durata
anni. E’ stata sequestrata e rinchiusa in un reparto psichiatrico. Le è stato
iniettato un ulteriore psicofarmaco, oltre ai quattro che già aveva assunto. Il
giorno 15, durante la notte, stava camminando, come d’abitudine (a causa
dell’acatisia). E’ stato udito un tonfo. Alle 5 di mattina Luise è stata
dichiarata morta. Vani sono stati i tentativi di rianimazione da parte dei
dottori, la mia Luise se n’era andata per sempre.
La scheda della cartella clinica, redatta non molte
ore prima della sua morte, recita: “Oggi la paziente è stata persuasa a
prendere psicofarmaci a lento rilascio”. Poi poche parole circa le dosi e su
quanto lei si sentisse bene, e che il giorno seguente avrebbe potuto essere
trasferita in una struttura aperta.
Luise
non voleva che io le facessi visita, quel
pomeriggio del 14 luglio. Ciò non era normale, così ho chiamato la
guardia
medica che mi ha risposto che lei stava bene e che proprio non voleva
vedermi. Ho chiesto se ci fosse stato un cambiamento nel suo
trattamento farmacologico, temevo che le avessero fatto l’iniezione di
cui il
dottore aveva parlato, di cui avevo detto che avrebbe portato Luise alla
morte.
La donna al telefono rispose che, per il bene di Luise, avevano deciso
di informarmi
sui cambiamenti farmacologici, solo una volta la settimana. Così ne sono
venuta
a conoscenza solo il giovedì seguente. E’ stato allora che mi sono
veramente
spaventata. Ci sono solo poche parole sulla scheda clinica su una
decisione
tanto importante, come quella della somministrazione di un nuovo
psicofarmaco
attraverso iniezioni a lento rilascio.
La legge medica prevede che nella cartella
clinica del paziente debba venir registrato qualsiasi nuovo farmaco venga
somministrato al paziente, e le decisioni del paziente in proposito. Invece la
sua scheda non riportava niente. Nessun consenso informato. Luise avrebbe fatto
di tutto per evitare l’iniezione. Per cui la frase: “La paziente oggi è
stata persuasa ad assumere
iniezioni di psicofarmaci a lento rilascio” è inquietante. Sono certa che lei
lottò per rifiutare questa iniezione, dal momento che in precedenza aveva
rischiato di morire proprio a causa delle iniezioni di psicofarmaci.
L’autopsia rivelò anche segni attorno al suo
corpo, che il medico legale non riuscì a spiegare. Io non ho dubbi che questi
segni sono stati prodotti dagli infermieri, quando l’hanno bloccata per
impedirle di lottare contro l’assunzione dei farmaci tramite iniezione. Iniezione
che poi, da otto a dodici ore dopo, l’ha fatta morire.
I problemi dovuti al disagio mentale non sono
mortali. Nonostante ciò molte persone, troppe persone, muoiono ancora durante i trattamenti
psichiatrici. Muoiono perché subiscono trattamenti a base di
psicofarmaci ad altissime dosi, spesso contro la loro volontà e attraverso l'uso di violenza. La tragedia
di Luise non è per niente unica in Danimarca, così come non lo è in tutti gli altri paesi a
industrializzazione avanzata.
Dopo la morte di Luise, ho mandato una denuncia
all’Agenzia Nazionale per i Diritti dei Pazienti
e all’Associazione per
l’Assicurazione dei Pazienti. Il titolo della mia denuncia è: “Morte da
avvelenamento per psicofarmaci”. Ho nominato i quattro diversi farmaci con cui l’hanno
trattata, che costituivano un enorme cocktail.
Secondo queste agenzie Luise ha ricevuto lo
standard più alto di trattamenti specialistici. Così hanno scritto:
"Il trattamento antipsicotico è stato formulato con i migliori standard professionali. Che i risultati non siano stati soddisfacenti, si deve alla condizione, alle circostanze e al fatto che le conoscenze relative ai trattamenti sono limitate.
Come ho dichiarato, credo che il rischio inerente al trattamento sanitario, deve essere valutato in relazione alle sofferenze che Luise H.C. avrebbe potuto patire senza i trattamenti”.
"Il trattamento antipsicotico è stato formulato con i migliori standard professionali. Che i risultati non siano stati soddisfacenti, si deve alla condizione, alle circostanze e al fatto che le conoscenze relative ai trattamenti sono limitate.
Come ho dichiarato, credo che il rischio inerente al trattamento sanitario, deve essere valutato in relazione alle sofferenze che Luise H.C. avrebbe potuto patire senza i trattamenti”.
E’
incomprensibile che il trattamento subito da
Luise fosse giudicato all’altezza dello standard, quando nei fatti gli
psichiatri somministrarono psicofarmaci a dosi tre volte superiori
rispetto alle dosi raccomandate. Non c’era il consenso informato relativo a
questo cocktail di psicofarmaci e non c’è nulla di scritto nella
cartella
clinica dell’ospedale, relativamente al trattamento subito da Luise nei
suoi ultimi
giorni di vita.
Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite, tutti
sono uguali davanti alla legge. Allora perché questa uguaglianza nella pratica
non viene realizzata? E perché nessuno è ritenuto responsabile quando la legge
viene violata? Continueremo ad accettare una società in cui troppe persone perdono la vita
per una malattia che non è mortale? Possiamo accettare una società in cui il
Trattamento Sanitario Obbligatorio è spesso la causa di gravi disabilità?
La mia risposta è NO. Vi prego, FERMATE i
Trattamenti Sanitari Obbligatori. Perché gli psichiatri sono a tal punto
determinati nel conservare trattamenti che sono tanto pericolosi e degradanti? A
loro voglio dire: “Vi prego, scendete dalla vostra torre d'avorio, giù, nel
mondo reale, dove ci sono persone reali. Smettetela di dire che questo genere
di trattamenti sono “per il bene del paziente”.
Dorrit Cato Christensen è autrice, docente e
presidente dell’associazione danese Dead in Psychiatric Care. Dopo il fatale
contatto di sua figlia con il sistema psichiatrico danese, ha dedicato la sua
vita ad aiutare le persone che sono intrappolate nel sistema psichiatrico. Ha
riportato la storia di sua figlia nelle sue conversazioni e nel suo libro:“Dear Luise: A story of power and powerlessness in
Denmark’s psychiatric care system”
Traduzione dall'inglese di Erveda Sansi
Traduzione dall'inglese di Erveda Sansi
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