Tina Minkowitz, intervento alla 744a sessione, 31a sessione, Comitato sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) - ONU
28 agosto 2024
Traduzione in Italiano dell'intervento a cura di Erveda Sansi
Grazie per avermi invitato a parlare.
Tratterò dell'abolizione della psichiatria coercitiva come parte della deistituzionalizzazione e di un nuovo modo di comprendere la crisi di una persona, che da senso a questo onere.
Il Comitato ha chiesto l'abolizione dei regimi di trattamento e di ospedalizzazione coercitivi nelle istituzioni della salute mentale, nel Commento generale nr. 1, nelle Linee Guida all'art. Nr 14, nel Commento generale n. 5 e nelle Linee guida sulla deistituzionalizzazione.
Le Linee guida sulla deistituzionalizzazione inseriscono questo obbligo in un contesto che richiede, tramite il settore della disabilità, strategie pianificate esaustive e indennizzi. È inaccettabile che qualsiasi strategia di deistituzionalizzazione statale, lasci fuori la consistente popolazione sottoposta alla psichiatria coercitiva. L'abolizione della psichiatria obbligatoria non richiede un maggiore sforzo di qualsiasi altra misura di deistituzionalizzazione, in termini di fattibilità, perché venga fornito supporto e inclusione nella comunità. La sfida è dovuta direttamente alla continua discriminazione e alla paura basate su stereotipi negativi. Nelle Linee guida il Comitato afferma che nessuno dovrebbe essere istituzionalizzato quando vive una crisi personale.
Tale crisi non è un problema che richiede cure mediche, né la persona dovrebbe essere trattata come un problema sociale da risolvere con un intervento coercitivo. Come possiamo allora capire la natura della crisi e di che tipo di supporto è necessario? Dobbiamo iniziare con il punto di vista della persona in questione. Io vivo una crisi quando sento che non c'è via d'uscita da un'esperienza di sofferenza o quando c'è una sfida che non posso affrontare usando gli strumenti e le risorse che ho. In quella situazione cerco aiuto o potrei sentirmi senza speranza e rinunciare a qualunque cosa ciò significhi per me. È essenziale comprendere che la crisi non significa che la persona manchi di capacità di azione o di consapevolezza. Ma piuttosto che ci serviamo di ciò che conosciamo e questo potrebbe non essere sufficiente.
In quel momento, sia il supporto consapevole di sè stessi che da parte degli altri, che rispetti la propria esperienza, può portare a una maggiore risolvibilità, se non a una risoluzione immediata. Non è facile ma è indispensabile. Senza l'autodeterminazione della persona, qualsiasi supporto o intervento è solo un atto a cui la persona deve reagire. E se viene sperimentato come ostile e aggressivo, tale intervento aumenta notevolmente la sofferenza, la disperazione e la sconfitta. La crisi può anche essere capita dal punto di vista sociale o interpersonale, come una situazione in cui qualcuno potrebbe essere preoccupato per me. Sto agendo in modi che gli altri non capiscono. La dimensione sociale e interpersonale della crisi deve essere affrontata nei suoi termini. Ci sono più partecipanti che hanno esigenze, punti di vista e interessi diversi. È essenziale riconoscere i sentimenti, le paure, i conflitti di interesse della persona che è preoccupata e, se si contatta la persona per cui ci preoccupa, si deve farlo rispettosamente come un invito, non come un intervento.
Credere che la preoccupazione, mentre ci si sente impotenti nell'alleviare il disagio dell'altra persona o nel correggere il suo comportamento disturbante, giustifichi una chiamata alle autorità di salute mentale o alla polizia per chiedere aiuto ha portato a disastri enumerabili diffusi in tutto il mondo. Queste sono le ingiustizie per le quali chiediamo risarcimenti, incluso garanzie di non ripetizione. Dobbiamo costruire nuovi sistemi e servizi di supporto, basati sulla solidarietà. Queste esistono su piccola scala in più parti del mondo, ma bisogna che diventino parte della vita quotidiana.
Ho menzionato molte di queste pratiche nel mio libro Reimaging Crisis Support. Ne scopro di nuove ogni volta. Infine, voglio riconoscere le sfide, poste dalla resistenza alle norme CRPD da parte di molti Stati Parte, nonché di alcuni meccanismi internazionali e regionali. Non dobbiamo arrenderci di fronte a queste sfide, ma continuare a combattere, poiché i sopravvissuti non hanno altra scelta che combattere per le proprie vite e la propria libertà. Grazie.
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