LA STORIA DI MATTIA
Mattia Giordani muore il 27 marzo 2018 mentre sta cenando con la famiglia – padre, madre e due fratelli – soffocato da un boccone di cibo. La manovra di Heimlich e qualsiasi tentativo messo in atto da medici e infermieri, arrivati in ambulanza in pochi minuti, risulta inutile. Aveva ventisei anni.
All’età di tre anni a Mattia è diagnosticata una disarmonia evolutiva. Da quel momento l’Istituto di ricovero e cura “Stella Maris” di Pisa lo prende in carico e il bambino comincia a trascorrere regolarmente periodi più o meno brevi presso una delle sue strutture: a sette anni, quando la diagnosi rileva tracce di autismo, a dieci, quando il disturbo dello spettro autistico è definitivamente certificato, e poi ancora nelle fasi successive dell’adolescenza e dell’adultità. Mattia cresce in un ambiente accogliente sia in famiglia che a scuola e, nonostante alcuni sintomi evidenti, nei primi anni di vita è un bambino tranquillo, non aggressivo e appassionato di musica e canto.
Dopo l’esame di terza media le sue condizioni subiscono un improvviso, imprevisto e grave peggioramento: si accrescono le stereotipie, scompare il sonno notturno e un grave stato di sovraeccitazione comincia a manifestarsi attraverso frequenti attacchi di aggressività verso gli oggetti di casa. Nel settembre del 2005 la famiglia decide allora di affidare Mattia per un lungo periodo alla Stella Maris. Qui, in seguito a una nuova diagnosi di autismo psicotico, per la prima volta gli vengono somministrate robuste dosi di psicofarmaci che da subito hanno conseguenze visibili sul suo stato psicofisico generale.
Il corpo si trasforma, cosce e pancia lievitano e in cinque mesi il peso aumenta di 18 chili. Mattia passa continuamente da una condizione di sedazione farmacologica di breve durata a improvvise esplosioni di rabbia, con episodi di forte aggressività, stavolta anche contro familiari e persone. In poco tempo la situazione diventa ingestibile, tanto che a quattordici anni è costretto a lasciare la scuola. Le crisi sono
improvvise, e a nulla serve il mix di psicofarmaci a cui Mattia è sottoposto, in maniera sempre più invasiva e a dosi sempre più massicce.
I genitori sono costretti a lasciare Mattia per tutta la giornata presso uno dei centri diurni della Stella Maris a Montalto di Fauglia (provincia di Pisa) e, al compimento dei venti anni, anche durante le ore notturne per alcuni giorni alla settimana.
Nel 2016 Mattia trascorre molte giornate nell’istituto di Montalto di Fauglia quando la struttura finisce nel mirino dei carabinieri, allertati dalla denuncia di un genitore che aveva notato la presenza di strani lividi sul corpo del figlio. Le microcamere nascoste rivelano una realtà inaspettata. Gli operatori fuori da ogni controllo e senza motivo picchiano, strattonano, trascinano per le orecchie, offendono con epiteti irripetibili i giovani ospiti. Tre mesi di registrazioni nascoste documentano più di 200 episodi di maltrattamenti. Il vero e proprio maxi processo che segue (17 indagati, 23 ospiti – fra cui Mattia – vittime dei soprusi) ha come primo effetto una condanna a due anni e otto mesi di reclusione con rito abbreviato per il direttore generale della Stella Maris Roberto Cutajar, riconosciuto colpevole di omessa vigilanza e assunzione di personale non adeguatamente formato. Cutajar sarà poi assolto in sede di processo d’appello nel giugno 2023.
Un altro operatore ha patteggiato in seguito davanti al GIP ammettendo le sue colpe. A tutt’oggi va avanti il processo nonostante una serie di lungaggini burocratiche che rischiano fortemente di compromettere il giudizio degli altri imputati – i restanti 15 operatori, fra cui il direttore sanitario e le due dottoresse che operavano a Montalto.
In seguito al clamore suscitato dal processo e dallo scandalo che ne consegue, gran parte dei sanitari coinvolti vengono allontanati dalla struttura e lasciano il posto a nuovi operatori che iniziano a sperimentare nuove cure e nuove combinazioni di farmaci. A Mattia vengono modificati e aumentati i dosaggi. Nel febbraio 2018, un mese prima di morire, il corpo di Mattia subisce l’ultimo affronto nel corso di un ricovero presso il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’ospedale di Pisa. La mamma, che lo aveva salutato la sera prima lasciandolo in reparto per il riposo notturno, lo ritrova la mattina seguente legato al letto di contenzione. Riuscirà a farlo slegare solamente garantendo la sua presenza e il suo controllo continuo.
Un mese dopo Mattia muore.
Il direttore dell’Unità operativa di Psichiatria forense e Criminologia clinica dell’ospedale Careggi di Firenze Rolando Paterniti, al quale i genitori di Mattia chiederanno una consulenza tecnica in vista del processo, scriverà nella sua relazione: «La sintomatologia presentata da Mattia è inquadrabile tra i sintomi extrapiramidali da antipsicotici […].In quasi tutti gli episodi le contrazioni distoniche hanno interessato […] anche i muscoli laringei e quelli della deglutizione,
causando gravi episodi di dispnea e disfagia con serio rischio di morte per soffocamento. Le crisi distoniche acute […] nel caso di Mattia sono comparse 6 giorni dopo l’introduzione della clotiapina. Questa correlazione temporale permette di affermare, con buona certezza, che sia stato proprio questo farmaco a causare la grave sintomatologia extrapiramidale […]. La condotta medica non è stata sollecita ed accorta ad impedire il verificarsi di un evento dannoso o pericoloso, ma al contrario si è caratterizzata per trascuratezza, avventatezza, e insufficiente ponderazione dei rischi, esponendo Mattia a gravi conseguenze».
Dalle cartelle cliniche i genitori vengono a sapere che negli ultimi tre mesi di vita nell’istituto Mattia aveva già avuto notevoli problemi di deglutizione durante i pasti, rischiando più volte il soffocamento con, in qualche occasione, crisi cardiache piuttosto importanti. Apprendono anche che nell’ultimo periodo le crisi si erano susseguite quasi tutte le sere, tanto che era stata necessaria la manovra di Heimlich per ben due volte durante uno stesso pasto serale. Malgrado l’invio di lunghe mail ai medici con richieste di spiegazione sugli effetti del trattamento farmacologico, e nonostante la loro presenza continua ai colloqui e agli incontri collegiali con il personale sanitario i genitori affermano ancora oggi di non essere mai stati adeguatamente avvertiti del rischio di soffocamento a cui Mattia era esposto. «Ormai ogni sera nostro figlio rischiava di morire e noi non lo sapevamo», scriverà Sondra Cerrai, madre di Mattia, nel suo libro Siamo tutti legati1, pubblicato dopo il triste epilogo.
Al processo di primo grado le due dottoresse responsabili della struttura della Stella Maris sono state assolte.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
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