Phoebe Sparrow Wagner |
dal Collettivo SenzaNumero di Roma:
Un GIOVEDì di DICEMBRE
TESTIMONIANZA di una CONTENZIONE
"Con il nuovo servizio psichiatrico restituiamo alle persone con
fragilità mentali un luogo di cure adeguato rispettoso delle necessità,
oltre che della dignità dei pazienti."
Questo
è quello che il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti
dichiarava lo scorso 22 febbraio, inaugurando l'attesa riapertura del
SPDC (Servizio di Prevenzione Diagnosi e Cura) dell'Ospedale San
Giovanni Addolorata.
Capita
invece che, in un grigio giovedì di dicembre, alcuni di noi si rechino
nel suddetto reparto a trovare un caro amico, ricoverato in regime di
Trattamento Sanitario Obbligatorio dalla domenica precedente. Ebbene
entriamo nella stanza da lui occupata e lo troviamo legato al letto e
profondamente sedato. Alla domanda “Da quanto stai legato al letto?”
segue la risposta “Da domenica, da quando sono arrivato”.
Circa 84 ore. Il nostro pensiero corre a Franco Mastrogiovanni, morto in regime di contenzione dopo 82 ore.
Ci si precipita dai medici chiedendo con calma spiegazioni e veniamo
mandati dal primario. Il medico risponde alle domande invitandoci a gran
voce ad uscire dal reparto e ordina, letteralmente, a medici e
infermieri di fare altrettanto, dopo aver constatato, suo malgrado, che
eravamo stati testimoni delle condizioni nelle quali veniva tenuto il
nostro amico. Veniamo allontanati, tra urla e provocazioni, e decidiamo
di uscire dal reparto soltanto per parlare con un parente nel frattempo
sopraggiunto.
Nessuno dei medici presenti è stato in grado di motivarci il perché di
quel trattamento inumano, non giustificato né giustificabile da nessun
criterio medico.
Dal canto nostro, non vediamo nella psichiatria né tanto meno nel
Trattamento Sanitario Obbligatorio uno strumento di cura e quanto e’
accaduto, sotto ai nostri occhi, accade tutti i giorni negli ospedali e
nelle cliniche specializzate in trattamenti psichiatrici. Sedare,
legare, rinchiudere e ammansire non sono strumenti di cura, piuttosto di
contenimento, allontanamento e repressione.
Nessuna attenzione per la sofferenza: negazione sistematica del vissuto
individuale. Non c’è ascolto, quindi nessuna reale presa in carico di
un problema o di un grido di aiuto.
La persona, considerata patologica, viene inserita in reparti sicuri,
inutili e spogli, etichettata a causa di sintomi e comportamenti nonché
espropriata della propria personalità. Il personale medico e
infermieristico, forte del suo ruolo di normalizzatore e del potere
sulla persona che da esso ne deriva, ne azzera le coscienze, ne annulla i
desideri e la rende schiava di psicofarmaci di cui, la stessa scienza,
ammette la dannosità nell’uso a lungo termine.
Il TSO, sempre più di frequente, diventa il primo passo coatto per
assicurare “clienti” all’industria farmacologica. Il trattamento
consisterà nell’intervenire chimicamente sul sintomo ignorandone la
causa e mettendo le basi, quindi, per future ricadute nella sofferenza. A
chi non accetta le cure gli saranno imposte attraverso la contenzione e
l’iniezione a lento rilascio.
E’ allarmante osservare quanto il numero di TSO sia in crescita, di anno in anno.
Siamo convinti e convinte che fare i conti con ritmi sempre più
frenetici, competitivi e alienanti possa condurre a momenti di crisi e/o
di netto rifiuto della realtà. Una fuga dalla violenza del dover stare
sempre al passo con i tempi, per sentirsi parte di qualcosa,
riconoscersi in un ruolo socialmente accettato.
Ciò nonostante rifiutiamo con forza la speculazione sulle persone e i
loro corpi, e il pregiudizio che giustifica la sopraffazione e la
violenza della così detta “Prevenzione Diagnosi e Cura”.
Collettivo “Senzanumero” - Roma
senzanumero@autistici.org / senzanumero.noblogs.org
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