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Tratto da: AA.VV, "Psicologia, psichiatria e rapporti di potere", Editori Riuniti - Istituto Gramsci, 1971, pagg. 83-88, Atti del convegno tenutosi nei giorni 28-30 giugno 1969 per iniziativa dell'Istituto Gramsci
di Edelweiss Cotti
Volevo anzitutto parlare della mia esperienza: non di quella passata
ma di quella ultima, quella svolta esclusivamente fuori
dall'ospedale; invece, forse, è meglio confutare alcune affermazioni
già fatte durante il convegno. Inoltre è necessario cercare di
capirsi meglio perché il linguaggio che qui viene usato spesso per
me è incomprensibile.
Per esempio si è parlato del settore come nuovo riformismo.
Certamente se il settore viene fatto come è stato detto che si fa,
cioè considerando ancora una volta l’esistenza del malato mentale,
è chiaro che è un nuovo riformismo, non c’è dubbio, non si esce
da questa situazione. Non esiste nulla di valido nel nostro campo se
non si contesta la malattia mentale, ricadiamo sempre davanti al
muro, davanti all’esclusione determinata dal fatto: la malattia
mentale. Questo è un muro che se non viene tolto, e lo si toglie
soltanto negando la malattia mentale, ci porrà sempre nelle medesime
condizioni attuali, con nuovi edifici, nuove strutture, avremo infine
la gabbia d’oro, ma ci sarà sempre la gabbia, ci sarà sempre un
altro escluso perché diverso da noi.
Ho detto che non esiste nulla di valido se non si contesta la
malattia mentale e sia ben chiaro che per me la malattia mentale non
esiste, non è affatto misteriosa, imprevedibile o pericolosa.
Purtroppo si definisce una malattia una situazione comportamentale
che non ha nulla di patologico, in senso medico, che anzi è un modo
comprensibilissimo di reagire a una situazione storica ed attuale
altrimenti insostenibile e peraltro definibile nei suoi elementi
sociali, familiari e personali.
Chi reagisce a quel modo lo fa perché, distrutto dalla paura, non
conosce altri meccanismi validi o meglio non è capace di usare altri
meccanismi efficaci. Appena si riesce e diminuire il suo livello di
paura eccolo immediatamente capace di reagire in modo più
conseguente allo scopo da raggiungere. Dunque negare la malattia
mentale per me non è un artificio; è invece l’unico modo corretto
di affrontare il problema.
Qui si è detto che il settore è un nuovo trasformismo anche quando
il medico non è dalla parte del potere. Certamente anche quel modo
di fare psichiatria potrebbe essere un trasformismo: ma come? Come è
possibile? Come si sta contro il potere? In che modo ci si sente
contro il potere? Ancora una volta si dice negando la funzione di
comando e direttiva del medico. Ma questo è chiaro, direi un
discorso superato: il medico non ha un potere, il medico ha delle
conoscenze tecniche, per inciso purtroppo quelle che ha appreso a
scuola spesso l’hanno frenato e continuano a frenarlo. Qui si sono
sentiti, infatti, dei medici senza dubbio frenati da quello che hanno
imparato all’università. Ma il medico deve fare il medico, non
deve usare dei poteri o delle false conoscenze acquisite
all’università. Se fare il medico, se imparare a fare il medico,
non è dalla parte del potere, è dalla parte di chi chiede aiuto,
dalla parte del paziente, non ci può essere un equivoco in una
situazione di questo genere: se uno fa il medico è sicuramente dalla
parte del paziente, se non è con lui non fa il medico, non si
sfugge.
Voce: Dalla parte di chi paga…
Cotti: Dalla
parte di chi paga? Io sono stato pagato da pubbliche amministrazioni,
non c’erano equivoci nella mia posizione. Essendo sempre stato
dalla parte dei pazienti, succede al sottoscritto e all’équipe che
ha lavorato con me di subire un procedimento penale con mandato di
comparizione per le imputazioni di cui agli articoli tale e tal
altro, tipo la barricata nel reparto, eccetera…Io non credo che ci
sia il pericolo di stare dalla parte del potere se ci si occupa dei
pazienti! Ma occuparsi dei pazienti vuol dire andare fino alle
estreme conseguenze; non vuol dire fermarsi davanti al pericolo che
il malato in permesso combini un pasticcio per cui ne derivi il
rischio dell’intervento di qualcuno, magari della procura! No,
bisogna andare avanti a sostenere gli interessi leciti, e sono sempre
più che leciti, del cosiddetto malato. Questo è il modo di stare
dalla parte del paziente. Non mi risulta che a Gorizia si sia dalla
parte del paziente. Quando il paziente a Gorizia non può uscire
dall’ospedale se non accompagnato dall’infermiere, me lo dite voi
in che situazione si trova? Io lo so che a Gorizia sono in una
situazione di ricatto, lo so, ma non ci vengano a raccontare che sono
dalla parte del paziente, perché questo non è vero. Potranno dirlo
in futuro: noi vogliamo essere dalla parte del paziente, ma oggi non
ci siamo. Si deve dare loro atto che sono pieni di buone intenzioni,
ma per ora non c’è molto di più. Si è parlato dei vari ruoli
professionali. E’ venuto fuori il discorso dello psicologo. Lo
psicologo non ha un ruolo! Perché non ha un ruolo? Perché non c’è
la tradizione dello psicologo. Ma che c’entra? Lo psicologo ha una
preparazione. Noi abbiamo chiesto gli psicologi perché ci siamo
detti: chiediamo l’aiuto di qualche professionista che non abbia
imparato tutta questa maledetta psichiatria, e che ci aiuti a
risolvere i problemi che riguardano i pazienti con una preparazione
professionale completamente diversa dalla nostra. Questo abbiamo
chiesto. Non abbiamo chiesto dei ruoli dello psicologo. Evidentemente
dove tentava di lavorare quello psicologo che ha parlato, si chiedeva
allo psicologo un ruolo. Non è corretto, non c’è un ruolo, c’è
un insieme di conoscenze, un lavoro di équipe affinché tutti
insieme si scervellino per risolvere i problemi dei pazienti. Che
ruolo d’Egitto, non riesco a capirlo il ruolo. Come il ruolo
dell’infermiere o il ruolo dell’assistente sociale. Si,
specificatamente qualche piccolo problema particolare, ma in
sostanza, e ancora una volta, è tutto un insieme di conoscenze che
debbono unirsi e non tenersi separate. E’ chiaro che a questo punto
si può arrivare a sostenere che è indispensabile negare la funzione
del medico! Per forza, ma non è così che ci si deve comportare per
fare i medici. Tutti quanti a parole sosteniamo che dobbiamo mettere
assieme ogni nostro bagaglio di conoscenze per vedere di uscire da
questa situazione. A questo modo, andando alla ricerca del ruolo, non
ci riusciremo mai. Le mie esperienze sono tutte di questo genere,
cioè relative al modo di come lavorare assieme agli altri, con tutti
e, in primis, con il
paziente, alla pari. Cominciai ancora all’ospedale psichiatrico a
Bologna, e poi a Villa Olimpia, e poi a Cividale, a cercare di
risolvere i problemi di ogni specifico paziente. E dove sono
arrivato? Sono arrivato, all’inizio, ai dubbi, e poi alla fine,
alla negazione della malattia mentale, perchè, lo ripeterò fino
alla nausea, essere malati mentali non vuol dire essere malati, vuol
dire reagire a situazioni insostenibili, situazioni attuali e
passate, situazioni storiche e presenti. Di conseguenza ne deriva che
modificando le situazioni attuali si riesce a modificare anche le
reazioni del cosiddetto paziente. Chiunque di noi, con una storia
simile a quella del paziente si comporterebbe come lui!
E’ venuto Antonio Persico che ci ha descritto magnificamente la
situazione degli emigrati italiani in Svizzera. Una documentazione
eccezionale che ci ha convinti tutti quanti che mandare delle persone
all’estero a lavorare è un misfatto perché in quelle condizioni
sono condannati ad ammalarsi. Infatti si ammalano, soffrono, però
alla fine, per fortuna, l’ha detto lui, di solito non ricorrono
alla psichiatria; però qualcuno, per forza di cose, ci casca, e alla
fine va a finire nelle cliniche, ciò che senza dubbio non sarebbe
avvenuto se avesse potuto lavorare a casa sua in condizioni
decenti. Egli ha affrontato anche il problema dei figli degli
emigrati. Descrizione terribile ma non creda che in Italia per quei
figli la situazione sia tanto diversa.
I figli degli operai, i figli dei
cittadini di questa società subiscono continuamente l’influenza
negativa della società in cui si vive, per cui siamo più o meno
nella stessa situazione. Per esempio, circa la storia dei ritardati
mentali, con le classi differenziali, anche in Italia sta succedendo
la stessa cosa! Adesso si arriverà a fare i quozienti d’intelligenza
a tutti i bambini per cui naturalmente ci sarà fino dall’età
scolare l’inizio della separazione o se più vi piace
dell’alienazione. Infatti, invece di dedicare il massimo sforzo a
prevenire certi guai evidenti, siamo appena e comunque già alla
esclusiva ricerca della malattia. Il risultato è che si inizia a
separare gli uni dagli altri col sistema delle classi differenziali e
così, passo passo, si costruisce il cosiddetto malato mentale che
poi, alla fine, sarà condotto in quel famoso ospedale di giorno o di
notte o totale che sia. Il tipo di ospedale non fa differenza, se non
si denunciano gli errori di una tale impostazione. Mi si obietta: ma
questi malati mentali ci sono; ci sono gli ospedali psichiatrici
pieni; dunque la malattia mentale esiste. Quindi accade, per intanto,
che con la falsa coscienza della malattia mentale la società può
accettare il manicomio. Ma se noi distruggessimo il concetto di
malattia mentale la situazione si capovolgerebbe. Per esempio, come è
stato distrutto il concetto negativo dell’ebraismo; infatti noi
siamo contro i lager nazisti, perché non abbiamo accettato il
concetto negativo dell’ebraismo. E’ vero, l’ebraismo esiste, ma
tale dato di fatto non doveva provocare la creazione dei lager, era
tutta un’altra questione, così accade la stessa storia per i
manicomi. Certo, esistono delle persone che non hanno imparato ad
avere un comportamento accettabile dalla società. Queste persone
vengono definite per questo fatto, ed in modo scandalosamente
antiscientifico, malati mentali. Il modo per risolvere il problema di
queste persone non è certo quello di sostenere il falso concetto di
malattia mentale e di conseguenza di costruire o di abbellire o di
trasformare i manicomi. Se continuiamo a sostenere la malattia
mentale è logico che rimangono i manicomi, rimangono i medici che
vogliono negarsi, contestarsi e trovare un ruolo, ma il manicomio
rimane sempre, e l’escluso continua a esservi rinchiuso.
D’accordo che è un problema
politico, è chiaro che siamo in una società che con le sue
strutture provoca delle situazioni di vita tali che direttamente, e
soprattutto indirettamente attraverso la famiglia, i giovani arrivano
ad avere comportamenti tali che vengono definiti come quelli di un
malato mentale. Ma se continuiamo a parlare solo di politica, noi
tecnici come faremo a uscire dal problema? Come faremo davanti a
colui che viene definito schizofrenico a sostenere che non lo è, a
sostenere che ha una caterva di situazioni precedenti e attuali per
cui è arrivato a quella situazione? Perché negare il valore del
tecnico? Chiediamo forse all’operaio specializzato di negarsi e
diventare una persona che non conosce l’uso delle macchine? Perché
del medico, dell’infermiere, dell’assistente sociale, dello
psicologo, dovremmo negare questa funzione? Negare come è gestito
fino ad ora, sì d’accordo, ma per favore specializziamoci ancora
di più per cercare di capire meglio questo problema; non neghiamoci.
Non se ne esce negandoci, non se ne esce accettando il problema solo
come politico. Il problema è si politico, ma ha un suo iter
che deve essere conosciuto il più esattamente possibile per capire
bene come si arriva alla conclusione finale. Dobbiamo occuparci della
famiglia, qui non si è mai parlato di terapia delle famiglie, di
indagini sulle famiglie: non sono cose nuove, sono cose risapute,
però sul piano pratico cosa si fa in questo campo? E poi che si
propone al di fuori dell’ospedale psichiatrico? Sì, si è
accennato all’ospedale di giorno, all’ospedale di notte, agli
ambulatori, ad evitare di costruire nuovi ospedali: tutto
giustissimo. Però ancora una volta se non facciamo sì che gruppi di
lavoro o équipes si occupino dei problemi che ci interessano sul
luogo della loro insorgenza, cioè nella società, e si rendano conto
dei precedenti e delle motivazioni, non faremo nessun passo avanti
nella soluzione del problema. Per esempio come hanno fatto gli
studenti di Bologna, di cui ci ha raccontato l’esperienza De Plato.
Sono d’accordo su una parte notevole di quello che ha detto De
Plato soprattutto quando ci racconta come hanno tentato di fare la
prevenzione andando per le case di certi rioni. Io sono del parere
che il modo migliore ed il più facile oggi sia quello di iniziare
con i bambini. Naturalmente anche con una lotta politica, cercando di
trasformare la società, ma noi come tecnici oltre che favorire la
lotta politica dobbiamo andare a cercare i bambini, i famosi bambini
delle classi differenziali e tanti altri, comunque.
Qui voglio accennare appena al mio
attuale lavoro come avevo detto all’inizio che era mia intenzione
fare. Si tratta fra l’altro di capire perché certi bambini vengono
bocciati. Non so se vi è noto che in prima elementare dei bambini
vengono bocciati. Non si riesce a capire perché, ci sono addirittura
delle circolari ministeriali in senso contrario, ma nonostante tutto
vengono bocciati e si comincia ad escluderli. Andiamo a vedere le
famiglie di questi bambini e ci troviamo di fronte a situazioni
veramente disastrose, incredibili nel 1969 alle porte di Bologna,
senza dubbio alle porte di Roma, o in Bologna stessa o in Roma
stessa. Il maestro che nel ‘69 lega il bambino al banco,
quell’altro che lo picchia, agisce in modo veramente acefalo e
senza avere il minimo sospetto che questi piccoli esseri, bisognosi
soltanto di protezione e di affetto, stanno vivendo situazioni
famigliari che a definirle disastrose è poco.
Mi accorgo che fra i presenti c’è
qualcuno che sorride, però sarei contento di sentirlo contestare
queste cose, e di vedere come lui crede che la malattia mentale vada
avanti, sentire cosa ha fatto lui personalmente, quello che ha
studiato, se mi viene a raccontare in modo convincente qualche cosa
sull’eziologia o sulla patogenesi della malattia mentale.
Probabilmente se ci fosse questo dibattito ciò potrebbe essere utile
per tutti quanti… E con ciò sarà meglio che io la smetta…
Grazie.
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