Una fotografia dell’occupazione del manicomio di Colorno. Archivio del Centro studi movimenti, fondo Karin Munk. |
Intervista al dott. Antonucci
Dottor Antonucci, lei ha lavorato anche in collaborazione con
Basaglia, ha pubblicato diversi testi ma soprattutto ha lavorato sempre
slegando gli utenti psichiatrici dalla contenzione fisica e non
effettuando i TSO. E’ quindi possibile lavorare col malessere senza contenzioni fisiche e
coercizioni?
Io ho cominciato proprio in questo modo; ho cominciato a
Firenze negli anni 66-67 evitando che le persone fossero ricoverate.
Sono partito proprio come principio dal fatto che una persona non deve
essere presa con la forza, perché non abbiamo nessun diritto di
sequestrare e imprigionare una persona che non ha fatto nessun reato e
che è presa di mira soltanto perché si pensa che il suo pensiero sia
diverso dal nostro. Perciò io ho sempre sostenuto ed ho cominciato a
lavorare così e sostengo ancora attraverso questi anni che non bisogna
intervenire con la forza. Nella medicina, in tutta la medicina, la
regola è che il medico viene richiesto per una consulenza. Io ho male di
stomaco e voglio sapere se questo male di stomaco dipende da un’ulcera,
da un tumore, da una gastrite, da un disturbo al fegato, da un disturbo
all’intestino e chiamo il medico perché stabilisca da dove derivi
questo mio malessere, trovi la malattia e la curi; naturalmente sono io
che chiamo il medico per la consulenza, sono io che decido, anche in
seguito, se mi faccio o non mi faccio la cura.
Per esempio può accadere
che io abbia un tumore alla prostata e, come è successo pure ad un
famoso sociologo svizzero, mi propongono di operarmi alla prostata per
il tumore, altrimenti la mia vita si accorcia di molto, perché il tumore
porta alla morte. Però mi dicono che operandomi al tumore alla prostata
la mia vita sessuale sarebbe minacciata se non addirittura abolita;
allora, dopo aver consultato il medico, sono io che scelgo se curarmi o
non curarmi o posso anche scegliere che tipo di medicina o quale tipo di
cura. Fin dall’antichità, e mi riferisco ad Ippocrate, il principio è
che il paziente sceglie e il medico lo deve rispettare nella sua
integrità e nelle sue scelte. Tutto questo salta per aria col
Trattamento Sanitario Obbligatorio, nel senso che il trattamento
sanitario obbligatorio permette al medico, in questo caso allo
psichiatra, ma anche al medico generico, di decidere che una persona
debba essere curata o trattata contro la sua volontà. La cosa grave è
che, mentre per delle malattie vere e proprie, cioè alterazioni
biologiche oggettive, uno ha giustamente diritto - il corpo è suo - di
scegliere da sé quello che vuole fare, per una variazione di pensiero
che non è una malattia, perché non ha nessun fondamento di alterazione
biologica, si interviene con la forza. Allora questo fa pensare che lo
psichiatra non è più un medico che si preoccupa della salute del
paziente e di conseguenza anche della sua libertà ma è, appunto, un
controllore sociale che con la forza mette da parte le persone il cui
difetto è, secondo il suo giudizio, di avere pensieri inquietanti, nel
senso che sono pensieri differenti dalle convenzioni. Non è che io non
creda alle alterazioni fisiologiche. E’ chiaro che se una persona ha
paura, anche il suo corpo ha paura. Così se è innamorata o crede di
essere indemoniata, etc. Ma trasformare un’alterazione fisiologica in
alterazione patologica nel senso medico del termine, cioè di genesi
organica o bisogno di intervento dal punto di vista organico è un falso,
peraltro spacciato per scientifico. Allora io come medico, e mi sembra
una cosa regolare, ho ritenuto che si doveva rispettare la volontà del
paziente e ancora come medico, come del resto ha detto già Freud prima
di me, so che quando mi occupo di stati emotivi e di variazioni di
pensiero, non mi occupo più di malattie ma mi occupo, appunto, della
biografia della persona con tutte le sue contraddizioni. Lo ha detto
Freud quando ha fondato la psicoanalisi: “ho smesso di fare il
neurologo”; il neurologo si occupa delle malattie del cervello, per
esempio il morbo di Alzheimer o l’epilessia, ed ho cominciato a fare il
biografo. Allora i punti sono due: la persona deve essere sempre libera
di scegliere sulla sua salute e sul suo pensiero e lo psichiatra che
prende la persona con la forza non è un medico ma è un controllore
sociale e il pensiero deve essere libero; nessuno si deve permettere di
interferire nel pensiero degli altri se non con il consenso della
persona interessata. Se una persona è preoccupata da alcune paure, non
so, ha paura, come è capitato a me alcuni anni fa con un diplomatico del
vaticano che aveva paura ad andare in aeroplano, e siccome era
diplomatico del vaticano doveva andare in giro per il mondo e doveva
superare questo problema, venne da me e se ne discusse insieme, ed io
l’aiutai a superare la paura. Questo è legittimo. E’ legittimo che una
persona chieda aiuto ad uno specialista oppure ad un esperto e, nel
rispetto della sua volontà, l’esperto gli dia quest’aiuto. Però
l’intervento obbligatorio è inaccettabile e invece fa parte anche della
cosiddetta legge Basaglia, dico cosiddetta perché Basaglia lavorava, e
io lo so perché ho lavorato con lui, contro gli internamenti e perciò se
lavorava contro gli internamenti non era favorevole a che continuassero
a farli, perché altrimenti è inutile abolire i manicomi quando si
continua a costruirne di nuovi anche se prendono nomi differenti.
Ci dice qualcosa di più sul suo lavoro con Basaglia?
Io ho lavorato con Basaglia nel 1969 a Gorizia, nel manicomio in cui
Basaglia ha messo in discussione tutto quanto, cioè ha messo in
discussione l’istituzione per la prima volta al mondo. Basaglia aveva
già cominciato quando sono andato io nel ’69, era già avanti nel suo
lavoro anche se alcune cose, molte cose, si dovevano fare ancora. Dunque
io ho lavorato con lui un periodo breve. Io sono stato chiamato da lui
perché quando lavoravo a Firenze per evitare gli internamenti gli
telefonai. Siccome io evitavo gli internamenti o cercavo di evitarli e
lui cercava di demolire il manicomio ci si accorse di essere
complementari. Io evitavo che le persone fossero internate e lui
restituiva la libertà a quelli internati prima. Per quello nel ’69 mi ha
chiamato a lavorare con lui. E lì si lavorava, appunto, su due punti
fondamentali: togliere le costrizioni, cioè togliere le inferriate, i
muri, le porte chiuse, le camicie di forza e aprire il dialogo con gli
internati. Sono due punti fondamentali. Togliere le costrizioni
significa lottare contro il manicomio. Aprire il dialogo con gli
internati significa considerare queste persone, persone che possono
parlare con noi alla pari perché hanno qualcosa da dire e non sono più
considerate, come erano considerati prima, individui il cui pensiero non
può essere preso sul serio perché è difettoso. Noi abbiamo lavorato su
questo. Tra l’altro io ho lasciato Gorizia pochi mesi dopo perché il
professor Jervis, che lavorava con Basaglia, vedendo
come io sapevo affrontare le situazioni, mi invitò a Reggio Emilia, dove
ho lavorato poi per tre anni anche mobilitando la popolazione contro il
manicomio.
Il messaggio che invece abbiamo la sensazione che oggi stia passando,
da parte di una certa psichiatria più attenta e democratica, come
contrapposizione al ritorno ai manicomi e agli elettroshock che alcuni
avanzano, è che la 180 sia una buona legge in assoluto, che Basaglia la
volesse e che probabilmente anche i risultati in termine di valutazione
degli obiettivi rispetto alla sofferenza siano buoni. Lei cosa pensa di
questa cosa?
Io ho parlato di questo anche con Basaglia, poi Basaglia è
morto poco tempo dopo il 1978, mi pare un anno dopo; io sapevo
già molte cose ma parlando con Pannella del Partito Radicale, ad un convegno sull’antiproibizionismo a Roma, dove c’ero anche
io, mi disse che la nuova legge era stata preparata rapidamente dal Parlamento
per evitare il Referendum che i radicali avevano chiesto sull’abolizione
dei manicomi. Un referendum che chiedeva agli italiani se erano
favorevoli o no all’abolizione dei manicomi. Allora il Parlamento, per
paura di questo referendum, come succede molte volte, fece una legge
affrettata la quale mantiene il diritto di prendere le persone e
portarle in clinica con la forza. Ho già detto prima che Basaglia
cercava di abolire gli internamenti e non poteva certo essere favorevole
ad una legge che ritiene invece questi internamenti parte della
società. Basaglia non era una persona inesperta; se lavorava per
superare i manicomi è chiaro che riteneva che si sarebbe dovuto smettere
con gli internamenti, altrimenti si fa un lavoro inutile: da una parte
si liberano gli internati, dall’altra si continua ad internare. Il
lavoro diventa a vuoto. Basaglia non poteva essere favorevole a questa
legge perché essere contro i manicomi significa essere contro gli
internamenti forzati; il manicomio non è un edificio, gli edifici si
possono cambiare; è un criterio: il pensare che si deve obbligare con la
forza le persone a cambiare il loro pensiero. Se uno mi dice di essere
perseguitato dal KGB i casi sono due: o è vero - e può succedere – e
allora è una cosa oggettiva, o non è vero e quello lì si sbaglia. Ma il
fatto che uno si sbagli non significa che debba essere forzato ad andare
in clinica dove gli fanno l’elettroshock o lo riempiono di psicofarmaci.
Quindi per quanto riguarda l’aspetto normativo lei auspicherebbe un
cambiamento nei termini di un’abolizione dei TSO? E, devo presupporre,
la chiusura degli OPG?
Si, io sono contrario a qualsiasi coercizione e per questo ho sempre
evitato i Trattamenti Sanitari Obbligatori, li ho sempre impediti quando
ho potuto. Io sono contrario a qualunque intervento di forza. Io non
sto a dire che sono contro le contenzioni perché mi sembra una
discussione che non si dovrebbe neanche fare; io ho tolto le camicie di
forza a Imola quando sono arrivato, l’ho fatto in tutti i reparti, ma
il problema è che non si deve assolutamente intervenire contro la
volontà della persona. Questo è il nocciolo del tutto. Perché il
manicomio è obbligare le persone a subire i trattamenti; non è un
edificio o un altro. È il momento in cui, come medico o come psichiatra, obbligo persone a subire un
trattamento, e faccio una violazione della
personalità e questo è inaccettabile.
Il nocciolo è il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Quando uno
prende la persona con la forza poi finisce probabilmente anche per
legarla al letto. Se non la prende con la forza non c’è nessuna
necessità di ulteriori interventi coercitivi.
Appunto, su questo negli ultimi mesi si è sviluppato un dibattito dove
il dottor Cassano di Pisa, denunciando il non funzionamento degli
psicofarmaci, ripropone pratiche quali l’elettroshock, mentre abbiamo la
parte più democratica della psichiatria intestardita sugli
psicofarmaci.
Questo è un dilemma sbagliato. Il problema è che non si può
modificare il pensiero degli altri con la forza, né con la forza fisica
né con la forza chimica né con le scariche elettriche. Il discorso che
sto facendo rende l’idea di cosa si tratta. Se io ho un pensiero diverso
dal suo e lei me lo vuole modificare, può usare metodi fisici o chimici
ed anche psicologici di ricatto ma questa è una cosa che non va fatta;
dunque io non voglio né gli psicofarmaci né gli elettroshock. Tra
parentesi le dirò che da Basaglia, quando io sono arrivato a Gorizia,
c’era ancora l’elettroshock nei reparti delle donne e l’ho tolto io
definitivamente. Noi non è che discutiamo su quali sono i mezzi per
modificare il pensiero degli altri; noi diciamo che il pensiero di una
persona è da affrontarsi soltanto sul piano del dialogo non su quello
della forza.
Un’altra cosa che stupisce è che sembrerebbe che, come dimostrano
anche alcuni studi ministeriali, nel circuito psichiatrico sia facile
entrare ed invece quasi impossibile uscire. Si parla di una tendenza ad
una cronicizzazione del malessere se non ad un peggioramento.
Ma se una
persona che ha la sua vita, che ha le sue emozioni, che ha i suoi
pensieri, che ha i suoi desideri, ed ha anche le sue contraddizioni e le
sue angosce, viene presa con la forza e portata in ospedale per
modificarla chimicamente, va incontro a peggioramenti del suo quadro
psicologico. Quindi dovrebbe essere intuitivo che prendere una persona
con la forza, costringerla ad essere diversa da quello che è, è un fatto
negativo. Dovrebbero capirlo tutti al volo senza bisogno di tante
discussioni. Dovrebbero spiegarmi come è possibile che una persona si
senta meglio dopo che è sequestrata contro la sua volontà e sottoposta a
trattamenti forzati.
Si, ma in alcuni circuiti psichiatrici, quali quello riabilitativo,
non si entra con la forza.
Il problema è capire che significa “circuito
riabilitativo”. O sono persone che sono già state prese con la forza ed
hanno subito quel danno e poi sono costrette a stare in questi circuiti o
sono persone che vanno volontarie, ammesso che la scelta sia loro e non
siano costretti da altri. Allora io non ho niente da dire sulle persone
che volontariamente fanno una scelta perché non è quello il problema.
Il problema è delle persone che vengono obbligate anche rispetto agli
psicofarmaci o altro. Se una persona li prende di sua volontà sono
affari suoi. Il problema è quando si costringe la persona a subire quei
trattamenti. A me non importa nulla dei circuiti riabilitativi, a me
interessa discutere di chi è costretto a sottoporsi a trattamento. Se
uno non è costretto è una cosa che non mi riguarda
Come mai, a suo avviso, non si parla più di questioni quali
l’omosessualità che, per esempio, circa trenta anni fa scomparve come
patologia dai manuali psichiatrici da un giorno all’altro?
Si, io le dico anche come. Gli psichiatri americani che si riuniscono per decidere nel mondo quali sono le malattie mentali e quali non sono - ultimamente, per esempio, ci hanno aggiunto il gioco d’azzardo, faccio per dire - pensavano all’omosessualità maschile e femminile come malattia, pochi anni fa, negli anni cinquanta. Poi uno psichiatra ad una di queste riunioni disse “ma sapete che molti nostri colleghi e colleghe sono omosessuali?”. Allora loro ad alzata di mano, dopo aver discusso, hanno detto che l’omosessualità non è più una malattia.
Dunque, si immagina lei ad un convegno sui tumori se ad alzata di mano si può decidere se il tumore allo stomaco è o non è una malattia? E’ una cosa ridicola. Allora questo dimostra che non si tratta di malattia ma si tratta di pregiudizi sociali i quali si possono cambiare con una discussione. Non si tratta di malattie e questo è molto importante. Vorrei che quando scrivete la mia intervista, non chiamate mai a nome mio i “malati“ perché è una falsità; io li chiamo le persone, o i pazienti se sono in rapporto come medico, o i ricoverati se sono in clinica ma mai i malati.
Come sapete io sono d’accordo con Thomas Szasz, che poi sviluppa Freud, che il problema degli stati d’animo, delle emozioni e delle idee non è un problema di medicina; infatti Freud ai medici americani che lo interpellavano, che chiedevano se per fare lo psicoanalista bisogna essere medici o no, rispose di no, perché considerava i problemi psicologici di tutti i tipi non come malattie ma come problemi di contraddizioni individuali e sociali.
Passiamo un attimo alla Puglia, anche se lei non è pugliese. C’è
stato un avvenimento che ci ha molto colpito. A fine gennaio 2008 muore a
Bari nella clinica psichiatrica del policlinico una donna di ottanta
anni portata in TSO, peraltro contenuta anche fisicamente. Che ne pensa
lei di un TSO ed una contenzione fisica ad una donna di ottanta anni?
Io penso che qualsiasi TSO e qualsiasi contenzione fisica è un
crimine contro la persona, cioè è un’aggressione, tra l’altro
un’aggressione grave perché è un’aggressione appoggiata dalla legge. Io
ritengo che sia più grave aggredire una persona col consenso della legge
che aggredirla per iniziativa personale. Comunque ogni TSO è una
forzatura criminale perché è contro la persona che la subisce, contro la
sua salute, contro la sua voglia di vivere, contro tutto. Prendere poi
con la forza una donna di ottanta anni e metterla in camicia di forza è
chiaramente un crimine contro una persona debole che non si può
difendere in alcuna maniera. In ogni modo, ripeto, tutti i trattamenti
sanitari obbligatori di qualunque persona di qualunque età sono un
intervento di violenza appoggiato dalla legge, cosa che io trovo
inaccettabile.
Ma non è solo la Puglia, lo fanno a Bologna, lo fanno a Firenze - lo so perché a Firenze mi sono opposto tante volte e mi oppongo ancora -
questo non è un problema della Puglia, è un problema non so neanche se
di tutta l’Italia, è un problema di tutti i paesi del mondo; li fanno in
Cina, li fanno negli Stati Uniti, li fanno in India, per cui il fatto
di intervenire con la forza per obbligare una persona a modificare il
proprio pensiero con metodi di grave compromissione della personalità è
un problema che riguarda tutto il mondo. E’ per questo che io rifiuto
decisamente la psichiatria come ideologia che è fondata sulla forza e
sulla violazione della personalità degli altri, al contrario di quello
che dice spacciandosi come scienza che aiuta le persone a vivere; in
realtà non è una scienza e aiuta le persone a perdere la loro libertà.
Il nocciolo del problema, che mi divide anche da quelli di psichiatria democratica, è proprio questo, l’intervento con la forza. Non c’è nessuno di psichiatria democratica che abbia detto “bisogna abolire l’intervento obbligatorio, l’intervento con la forza”. Io tutta la vita dico che bisogna abolire l’intervento di forza perché è questa la fine del manicomio.
E’ una questione volontaria. Lei può andare non solo dallo psichiatra ed accettare volontariamente i farmaci o altre cose, ma può andare dal mago, dal chiromante. Una persona volontaria fa quello che vuole ed è giusto che faccia quello che vuole. Il problema è che nessun cittadino deve essere obbligato a sottoporsi a trattamenti. Questo per me è il problema centrale di tutto.
Il nocciolo del problema, che mi divide anche da quelli di psichiatria democratica, è proprio questo, l’intervento con la forza. Non c’è nessuno di psichiatria democratica che abbia detto “bisogna abolire l’intervento obbligatorio, l’intervento con la forza”. Io tutta la vita dico che bisogna abolire l’intervento di forza perché è questa la fine del manicomio.
E’ una questione volontaria. Lei può andare non solo dallo psichiatra ed accettare volontariamente i farmaci o altre cose, ma può andare dal mago, dal chiromante. Una persona volontaria fa quello che vuole ed è giusto che faccia quello che vuole. Il problema è che nessun cittadino deve essere obbligato a sottoporsi a trattamenti. Questo per me è il problema centrale di tutto.
Peraltro in Puglia scopriamo che questi TSO, in particolare a questa
donna di ottanta anni, partono da CSM di eccellenza, con psichiatri che
si dicono democratici e che fanno tanti bei discorsi ai convegni.
Federico Nietzsche, filosofo dell’ottocento, diceva che nessuno è più
pericoloso dei benefattori. Dai tempi antichi abbiamo sentito dire
tante volte che le persone che intervengono con autorità lo fanno per il
bene delle vittime. Persino le SS di Hitler si chiamavano “reparti di
protezione”, quasi come se le persone prese da loro fossero prese per
proteggerle. L’eugenetica è per non far soffrire le persone e quindi
vengono uccise, e così via. Perciò il problema non è il fare il bene
degli altri, il problema è rispettare la libertà degli altri. Perché,
ripeto, se io sono affetto da tumore e non voglio operarmi, nessuno si
sognerebbe di obbligarmi a farlo con la forza per il mio bene, devono
rispettare la mia volontà.
Un’altra questione di cui si è discusso molto in Puglia in questi
ultimi mesi è stata quella delle riabilitative psichiatriche. Spesso
sentiamo dire frasi del tipo “bisogna dare voce agli utenti” ma si
nascondono i TSO, le contenzioni, i costi economici, il fatto che molti
utenti finiscono per passare spesso una vita intera in quelle strutture,
etc.
Ma non c’è niente da riabilitare. C’è soltanto da cominciare a
rispettare il pensiero degli altri, non avendo la presunzione che i
nostri pregiudizi sono la ragione e i pensieri divergenti sono il non
ragionare. Il nostro mondo è fatto di una infinità di punti di vista.
Poi dipende dal potere. Perché è chiaro che una donna che sta facendo una
vita difficile in famiglia e sul lavoro, ad un certo punto disperata dice
di sentirsi male come se fosse indemoniata e la portano in manicomio; se
invece il vescovo dice che il diavolo esiste tutti stanno a sentire e i
filosofi ci imbastiscono anche una discussione. Per cui non è l’idea
inverosimile che conta, dipende da chi la esprime. Chi ha potere può
dire le cose meno dimostrabili, appunto. Tutte le religioni sono
fondate, -che uno sia religioso o no, questo non importa,- su verità
indimostrabili. Per cui se uno ha le proprie verità personali, ha diritto
di averle come hanno diritto di averle i vescovi.
Peraltro una convinzione non fondata su verità dimostrabile, come
dice lei, se condivisa non produce nel soggetto sofferenza, o almeno in
parte. Questo dovrebbe far pensare rispetto a come, non dico la piena
condivisione, ma senz’altro la negazione del pensiero, anche con la
forza, non può essere una risposta a quella sofferenza.
Il problema è che se una persona vuole un aiuto lo chiede lei, non
bisogna imporre niente. Per cui il problema non è neanche della
sofferenza o no. A parte che la sofferenza è fisiologica perché il
dolore fisico serve per proteggerci dalle lesioni, nel senso che se io
fossi senza il dolore fisico non potrei accorgermi delle eventuali
lesioni che mi colpiscono; il dolore morale è quello che corrisponde a
certe situazioni negative nei riguardi della nostra vita. Per cui il
dolore è fisiologico, non è, come dicono gli psichiatri, una malattia.
Una persona decide da sé quali sono le cose che vuole fare e quali sono
le cose che non vuole fare per i propri problemi di dolore fisico e
psicologico, non devono decidere gli altri. E poi naturalmente è una
cosa soggettiva. Insomma, se io dico che mi sento perseguitato questo è
il segnale di una mia situazione ma non è detto necessariamente che sia
un dolore o una sofferenza.
Cosa c’è, a suo avviso, dietro il mito della pericolosità che si
costruisce attorno all’utente psichiatrico, al cosiddetto pazzo?
Su questo io posso rispondere che quando sono arrivato ad Imola nel 1972 ho chiesto il reparto ritenuto dagli specialisti lì presenti più pericoloso, cioè il reparto 14 delle donne agitate ritenute più pericolose; l’ho aperto in un mese ed io sono andato con alcune di queste persone al Parlamento Europeo, sono stato dal Papa Giovanni Paolo II, che ci ha accolto in prima fila; non mi è mai successo neanche di avere uno graffio, nonostante quelle persone fossero state trattate con la camicia di forza e con la reclusione; e invece sono stato steso per terra a pugni da un infermiere che non era d’accordo con il mio lavoro. Per cui la pericolosità è un mito. Le persone che hanno a che fare con gli psichiatri, a parte le contraddizioni in cui si trovano, sono persone come le altre e può succedere che facciano anche dei reati come le altre. Soltanto che se il reato è fatto da uno che non è mai stato dallo psichiatra non si dice niente. Se uno è stato dallo psichiatra si dice che lo ha fatto perché era particolarmente pericoloso. Questo è simile alla faccenda che succede ora: se il reato lo fa un italiano è differente da quello che fa un albanese o un rumeno.
Comunque il disagio e il malessere rimangono un grosso problema
individuale e sociale. Si. Il disagio e il malessere devono essere
affrontati con il dialogo e la capacità di capire, come ha insegnato
Freud. Freud discuteva con le persone, ora si può essere d’accordo o no
con le teorie di Freud, ma il fatto che il disagio si affronti con il
dialogo lo ha detto Freud e vale una volta per tutte. Tutti gli altri
strumenti sono sbagliati e controproducenti, l’unico strumento è il
dialogo. Ripeto, non l’ha detto Thomas Szas, non l’ho detto io, l’ha
detto Freud che non a caso è ritenuto il fondatore della psicologia
moderna.
Quale consiglio darebbe lei ad una persona oggi in difficoltà che si
rivolge ad un servizio? Il consiglio che dò io è quello di provare
attraverso il dialogo con persone intelligenti e capaci di mettersi
nello stato d’animo degli altri; ci vogliono persone di questo tipo, che
non hanno nessuna intenzione di fare forzature. E quale consiglio darebbe ad una famiglia in difficoltà con un
parente?
Io le famiglie le ho aiutate insieme ai pazienti cominciando a
lavorare nel ’66 qui a Firenze. Per esempio, quando ci fu il 4 novembre
l’alluvione, mi chiamò la madre di un uomo che era un artigiano, che
sotto l’alluvione aveva perduto la sua bottega, il suo negozio, e girava
intorno alla tavola pensando di essere un anticristo che poteva essere
pericoloso anche per la madre e per la sorella. Io andai da lui, ci ho
passato molto tempo, ho risolto il problema, lui non ha mai visto uno
psichiatra e ha ripreso a vivere la sua vita. La sua crisi di angoscia
dipendeva dal disastro che aveva subito e poi da alcuni problemi
personali che abbiamo tutti. Perciò se si aiuta una persona a
riprendersi si aiuta anche la famiglia; perché i casi sono due: o la
famiglia ci tiene a quella persona e non la vuol perdere, quindi accetta
che qualcuno aiuti gli uni e gli altri e non la manda in psichiatria
sapendo che gliela rimandano rincitrullita o, se la famiglia se ne vuole
liberare non credo che le si debba andare dietro.
Per cui, comunque la si rigiri, vale anche per le famiglie se sono in buona fede, e vogliono il bene del loro congiunto; è chiaro che una madre che vuol bene al figlio non credo che sia soddisfatta di vederlo prendere dai carabinieri e portarlo in manicomio.
Per cui, comunque la si rigiri, vale anche per le famiglie se sono in buona fede, e vogliono il bene del loro congiunto; è chiaro che una madre che vuol bene al figlio non credo che sia soddisfatta di vederlo prendere dai carabinieri e portarlo in manicomio.
Peraltro anni fa si diceva “la libertà è terapeutica” e probabilmente non era solo uno slogan.
Si appunto. Non esiste salute psicologica senza la libertà perché
quando non abbiamo la libertà delle nostre emozioni, delle nostre idee,
si sta male.
Ma spesso il conflitto è anche con le famiglie. Un esempio, forse un
po’ esasperato, sulla complessità sociale del problema. Giovanna, utente
psichiatrica da anni, ha subito violenze o molestie da parte del padre
in famiglia, motivo principale per cui ha iniziato a soffrire. Lei è
definita “malata”, il padre probabilmente parla con gli psichiatri
ignari della figlia e di come aiutarla nel suo eventuale percorso di
guarigione.
Se la vittima, invece che difenderla, si considera una persona
difettosa mi sembra che siamo lontani dalla realtà. Voglio dire, se un
padre insidia o violenta la figlia, questo è uno stupro ed è anche un
reato e ne risponderà il padre, ma non vedo perché la figlia debba
essere sottoposta a trattamenti psichiatrici.
Negli ultimi anni sono cambiate molte cose; la sinistra e le idee di
rivoluzione sono scomparse, c’è il processo di globalizzazione, si sta
avendo una deriva strana probabilmente a destra. Questa cosa comporterà, a suo avviso, un rafforzamento della logica
psichiatrica?
Si. Perché in un mondo come quello attuale in cui si
ritiene che l’individuo non conta niente e tutto quanto si risolve con
la repressione è il mondo più adatto per un’intensificazione dei metodi
psichiatrici.
Peraltro molte stime di studi psichiatrici danno tra pochi anni, nel
2020, una percentuale altissima di popolazione adulta, quasi un quarto,
“malata” in vari periodi della propria vita.
Sa, gli psichiatri siccome decidono loro chi è malato e chi non è malato, naturalmente più hanno potere più aumentano. Non è come la malattia vera e propria che viene per determinate cause precise, non so, per esempio i tumori vengono per le radiazioni, etc.; voglio dire che se per esempio gli psichiatri decidono che gli omosessuali sono malati di mente la popolazione dei malati di mente aumenta, se decidono che non lo sono diminuisce. Per cui, che l’umanità è in una condizione di difficoltà lo sappiamo, ma i malati definiti dagli psichiatri aumentano e diminuiscono a seconda del loro arbitrio. Perché non sono malattie oggettive ma sono invenzioni derivate dai loro pregiudizi e dai pregiudizi della società.
Sa, gli psichiatri siccome decidono loro chi è malato e chi non è malato, naturalmente più hanno potere più aumentano. Non è come la malattia vera e propria che viene per determinate cause precise, non so, per esempio i tumori vengono per le radiazioni, etc.; voglio dire che se per esempio gli psichiatri decidono che gli omosessuali sono malati di mente la popolazione dei malati di mente aumenta, se decidono che non lo sono diminuisce. Per cui, che l’umanità è in una condizione di difficoltà lo sappiamo, ma i malati definiti dagli psichiatri aumentano e diminuiscono a seconda del loro arbitrio. Perché non sono malattie oggettive ma sono invenzioni derivate dai loro pregiudizi e dai pregiudizi della società.
Ma sono stime così alte che minano un’ipotesi anche di società
democratica. Si. Ma infatti si sta andando in generale verso la
distruzione della democrazia. Individui che vogliono controllare il
pensiero degli altri, non sono democratici, dovunque vivano. Non importa
se sono nella vecchia Unione Sovietica o negli Stati Uniti; come dice
Szasz “lo stato terapeutico, cioè lo stato che usa la medicina per
controllare i cittadini è dovunque uno stato che tende ad essere
totalitario”.
C’è la questione dei bambini diagnosticati con iperattivismo, si
scoprono fuori dai cpt (centri di permanenza per gli immigrati) bidoni
di psicofarmaci, spesso i senza tetto giustamente inquieti vengono
portati nei centri di salute mentale, fino ad arrivare a questioni quali
quella dell’ottantenne, cioè anziani in difficoltà. Possiamo dire,
parlando di soggetti deboli, che un’idea quasi di eugenetica si stia
diffondendo?
Certamente. La psichiatria è nata insieme al razzismo,
nelle stesse persone. Faccio per dire, per esempio Lombroso, ma potrei
dire tanti altri, Nordau in Germania sostenitore dell’eugenetica, il
fatto che bisogna selezionare le persone per fare popoli più forti e più
sani. Il razzismo è il fatto di considerare certi popoli nel loro
complesso biologicamente o spiritualmente inferiori; e la psichiatria
certi individui biologicamente o spiritualmente inferiori. Il concetto è
lo stesso. Attraverso queste due strade si va verso il regime
totalitario e la democrazia muore. E naturalmente i cpt sono campi di
concentramento. Anche il fatto di giudicare una persona non per quello
che fa ma per quello che potrebbe fare, per esempio il rumeno che
potrebbe essere più pericoloso dell’albanese o dell’italiano, sono
giudizi sulle possibilità di fare dei reati, cioè che richiamano Hitler.
La ringraziamo dottore.
Grazie a voi. Mi raccomando quando io parlo delle persone non fate mai scrivere il “malato“, a meno che non sia uno che ha la polmonite; deve essere la persona, il paziente, il ricoverato ma mai il malato.
Intervista a cura di:
Ezio Catacchio (Associazione “Altre Ragioni” - Bari)
Francesco De Martino (Quotidiano di Bari)
Ezio Catacchio (Associazione “Altre Ragioni” - Bari)
Francesco De Martino (Quotidiano di Bari)
Intervista al dott. Giorgio Antonucci, 25.06.2008
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