Prefazione di Giorgio Antonucci
Quando ho letto le memorie che Giovanni ha scritto, si sono risvegliate in me emozioni profonde. Abbiamo iniziato a lavorare in ospedale psichiatrico in momenti ed in ruoli diversi per poi incontrarci come nel libro verrà descritto.
Certamente io avevo già avuto esperienze che mi avevano fatto capire la realtà di questa istituzione mentre Giovanni venne catapultato in un mondo completamente diverso da quello che aveva studiato nei corsi: il lavoro si rivelò tutt'altro che assistenziale.
Arrivai in Autogestito preceduto da una fama denigratoria che nulla aveva a che fare con me e Giovanni lo capì dopo i primi approcci. Entrammo in sintonia per un metodo essenziale; il colloquio con i pazienti. Persino durante il mio lavoro a fianco di Basaglia, per quanto mirava a migliorare le condizioni dei ricoverati, mancava in questo. Se io considero la persona che ho davanti per quello che è, cioè un essere pensante, e parlo direttamente a lui, io ho già fatto partire la rivoluzione, il resto viene dopo.
Non è inutile ricordare che quella psichiatrica è l'unica istituzione esistente dove non esistono diritti per le persone internate. In carcere si passa attraverso un processo e un avvocato difensore: nessuno dubita del modo di pensare del detenuto. Questo si trova a scontare una pena per un reato, ma al di là di questo resta un cittadino come gli altri. Invece la persona internata in ospedale psichiatrico è stata portata ad arbitrio, senza che abbia fatto nulla, per un giudizio momentaneo di qualche specialista. Dal momento del suo ingresso nell'istituzione, a parte tutto quello che deve sopportare a livello fisico, qualsiasi cosa comunica non vale più nulla perché si ritiene che non abbia capacità di pensare. Ritenere che una persona non sia in grado di pensare equivale a togliergli tutto.
I ricordi più belli che ho durante quel periodo di lavoro insieme sono certamente quelli relativi alle gite. Portare lontano dall'ospedale quelle persone mi dava un senso di serenità incredibile; le vedevi riappropriarsi dei propri diritti ad ogni uscita. Potersi mescolare alle altre persone al parlamento di Strasburgo, essere in prima fila dal pontefice Giovanni Paolo II, proprio loro che sono sempre stati gli ultimi, sono le cose che mi rimangono sempre in mente. Ricordo l'incontro con l'onorevole Marco Pannella, che è venuto a mancare da poco: la sua grandezza è stata quella di difendere i diritti in toto. ....continua
Quando ho letto le memorie che Giovanni ha scritto, si sono risvegliate in me emozioni profonde. Abbiamo iniziato a lavorare in ospedale psichiatrico in momenti ed in ruoli diversi per poi incontrarci come nel libro verrà descritto.
Certamente io avevo già avuto esperienze che mi avevano fatto capire la realtà di questa istituzione mentre Giovanni venne catapultato in un mondo completamente diverso da quello che aveva studiato nei corsi: il lavoro si rivelò tutt'altro che assistenziale.
Arrivai in Autogestito preceduto da una fama denigratoria che nulla aveva a che fare con me e Giovanni lo capì dopo i primi approcci. Entrammo in sintonia per un metodo essenziale; il colloquio con i pazienti. Persino durante il mio lavoro a fianco di Basaglia, per quanto mirava a migliorare le condizioni dei ricoverati, mancava in questo. Se io considero la persona che ho davanti per quello che è, cioè un essere pensante, e parlo direttamente a lui, io ho già fatto partire la rivoluzione, il resto viene dopo.
Non è inutile ricordare che quella psichiatrica è l'unica istituzione esistente dove non esistono diritti per le persone internate. In carcere si passa attraverso un processo e un avvocato difensore: nessuno dubita del modo di pensare del detenuto. Questo si trova a scontare una pena per un reato, ma al di là di questo resta un cittadino come gli altri. Invece la persona internata in ospedale psichiatrico è stata portata ad arbitrio, senza che abbia fatto nulla, per un giudizio momentaneo di qualche specialista. Dal momento del suo ingresso nell'istituzione, a parte tutto quello che deve sopportare a livello fisico, qualsiasi cosa comunica non vale più nulla perché si ritiene che non abbia capacità di pensare. Ritenere che una persona non sia in grado di pensare equivale a togliergli tutto.
I ricordi più belli che ho durante quel periodo di lavoro insieme sono certamente quelli relativi alle gite. Portare lontano dall'ospedale quelle persone mi dava un senso di serenità incredibile; le vedevi riappropriarsi dei propri diritti ad ogni uscita. Potersi mescolare alle altre persone al parlamento di Strasburgo, essere in prima fila dal pontefice Giovanni Paolo II, proprio loro che sono sempre stati gli ultimi, sono le cose che mi rimangono sempre in mente. Ricordo l'incontro con l'onorevole Marco Pannella, che è venuto a mancare da poco: la sua grandezza è stata quella di difendere i diritti in toto. ....continua
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