Lo
psicofarmaco potrebbe essere il tuo problema
Introduzione alle ricerche di
Peter Breggin
di Erveda Sansi
pubblicato su l'Gazetin
dell'11.5.2008
Peter Breggin, medico e
psichiatra, si è formato alla Harvard University e alla Case Western Reserve
School of Medicine. Ha lavorato come docente presso la Harvard Medical School,
la Washington School of Psychiatry, la Johns Hopkins University e come
consulente alla National Institute of Mental Health (NIMH). Alla George Mason
University ha insegnato Conflict Analysis and Resolution. Attualmente lavora
come libero professionista a Ithaca, New York. Dr. Breggin dirige
l’International Center for the Study of Psychiatry and Psychology (ICSPP.org) e
ha fondato la rivista Ethical Human Psychology and Psychiatry.
Durante la sua esperienza come tirocinante e poi
come medico in una clinica psichiatrica, considerava l’istituzione psichiatrica
ancora come suscettibile di riforma. Dopo aver osservato l’estrema nocività di
quelle che impropriamente vengono definite “terapie psichiatriche”, si è
dedicato incessantemente alla critica radicale della psichiatria.
Nei suoi
numerosi libri, espone la politica della psichiatria, l’effetto dannoso degli
psicofarmaci, dell’elettroshock e della psicochirurgia, e descrive le alternative
più umane per affrontare piccoli e grandi problemi psicologici, da lui percorse
con successo.
Breggin rivolge lo sguardo critico alle teorie e
terapie psichiatriche, ad esempio quelle che consistono nella somministrazione
di tranquillanti che provocano dipendenza, inducendo così i pazienti e i loro
famigliari a convincersi di non avere alcuna possibilità di cambiare
autonomamente la loro situazione. Essere marchiati come ammalati mentali
rappresenta spesso l'inizio di una carriera come utenti psichiatrici, che
durerà per tutta la vita.
Gli psicofarmaci sono molto più nocivi di quanto
i consumatori e i medici pensino. Producono numerosi effetti dannosi,
potenzialmente fatali. Inoltre causano dipendenza e creano gravi problemi di astinenza,
generando sofferenze sia dal punto di vista fisico, che emotivo. Per questo
motivo e specialmente quando gli psicofarmaci sono stati assunti per un lungo
periodo di tempo, la supervisione da parte di un esperto può essere utile e a
volte addirittura necessaria, durante il processo di disintossicazione. Una
reazione tipica provocata dalla sospensione di neurolettici consiste in un
contraccolpo del sistema colinergico. Altre reazioni possono essere nausea,
spasmi involontari, contorsioni, tic, tremori e altri movimenti muscolari. In
molti casi questi movimenti cessano gradualmente dopo poche settimane, o alcuni
mesi, a volte invece diventano cronici. I movimenti involontari, collegati da
caso a caso alla sindrome da parkinson, alla discinesia tradiva, alla distonia
o all'acatisia emergenti, causano stati di prostrazione, ansietà e angoscia.
Non tutti i medici riconoscono questi sintomi come effetti della
disintossicazione, dato che nella maggior parte dei casi vengono riscontrati
anche durante l'uso degli psicofarmaci, anche se spesso si evidenziano o
peggiorano proprio quando l'utente riduce o sospende lo psicofarmaco.
Le accurate ricerche di Breggin lo hanno portato
a constatare che i trattamenti psichiatrici che si basano su elettroshock,
psicofarmaci e psicochirurgia, ottengono il loro effetto mediante la
debilitazione, causata dal deterioramento del cervello; cioè il loro ruolo
viene svolto principalmente provocando disfunzioni cerebrali, danneggiando e
alterando le normali funzioni cerebrali.
Il numero delle persone dipendenti da
psicofarmaci è aumentato in modo vertiginoso negli ultimi anni, non solo in
campo psichiatrico. Gli psicofarmaci non vengono solo somministrati a tutti i
pazienti psichiatrici in regime di ricovero, ma prescritti già durante la prima
visita ambulatoriale, dove viene loro spiegato che dovranno assumerli per tutto
il resto della vita, come succede con l’insulina per i diabetici. Operatori
sociali e psicologi si sentono spesso costretti a inviare i propri pazienti al
servizio psichiatrico e, fa presente Breggin, si ricorre sempre meno ai
colloqui di psicoterapia. Anche i non professionisti appoggiano con entusiasmo
gli psicofarmaci e spesso, indotti dalla pubblicità, sono i pazienti stessi che
chiedono al medico un determinato tipo di psicofarmaco.
La ripresa della psichiatria organicista ha
favorito non solo l’incremento degli psicofarmaci, ma anche il ritorno della
pratica dell’elettroshock, e quella della cosiddetta psicochirurgia, nella convinzione
che determinati comportamenti o sentimenti siano causati da uno squilibrio
delle funzioni cerebrali. Qualsiasi critica della psichiatria, viene
considerata un’eresia.
Breggin sostiene che l’effetto primario degli
psicofarmaci viene raggiunto attraverso le disfunzioni cerebrali e nei suoi
numerosi libri dimostra, in modo esauriente soprattutto in Brain- Disabling
Treatments in Psychiatry: Drugs, Electroshock, and the Role of the FDA –
Springer Publishing Company, 1997, che essi non possono rappresentare un metodo
curativo per qualsivoglia “disturbo psichico”. Invece di correggere squilibri
biochimici, li provoca, a volte anche in modo permanente.
La sua critica coincide con un punto di vista
alternativo, cioè che gli approcci sociali, educativi e spirituali, sono i più
utili nell'aiutare gli individui a superare i loro problemi personali e a
vivere una vita più piena di significato.
Il pensiero psichiatrico radica le proprie
convinzioni su una serie di assunti che, sia specialisti che profani,
considerano provati scientificamente. E’ invece stato dimostrato che questi
assunti sono in realtà dei miti, degli artifici che sostengono un sistema di
credenze e di consuetudini. Nel testo sopraccitato l’autore ne dimostra
l’erroneità, basandosi sulla farmacologia, sulle evidenze scientifiche e
cliniche, e sul buon senso. Tutti i trattamenti bio-psichiatrici
provocano l’alterazione e il danneggiamento delle normali funzioni cerebrali.
Contrariamente alle radicate convinzioni di chi propone gli psicofarmaci, non
ci sono specifici effetti psicoattivi dei farmaci per specifici disordini
mentali. Anche se trattamenti specifici hanno effetti differenti e
riconoscibili sul cervello, hanno tuttavia in comune la facoltà di produrre
disfunzioni generalizzate con qualche grado di danneggiamento su tutto lo
spettro delle funzioni emotive e intellettuali. Dato che il cervello è
altamente integrato, non è possibile disabilitare in maniera circoscritta
alcune funzioni cerebrali senza danneggiarne altre. Ad esempio, osserva Peter
Breggin, ridurre la sensibilità emotiva e provocare uno stato di letargia,
danneggia le funzioni cognitive come l’attenzione, la concentrazione, la
prontezza di riflessi, la coscienza di sé, l’autostima, la sensibilità sociale
e l’autonomia. Un altro effetto può essere l’apatia, un’indifferenza simile a
quella provocata dalla lobotomia. I pazienti rispondono ai trattamenti
cerebro-debilitanti con le loro proprie reazioni psicologiche, che possono
essere apatia, euforia, accondiscendenza o risentimento.
Gli interventi biopsichiatrici danneggiano le
funzioni mentali, psicologiche e spirituali, sia per una disfunzione
generalizzata del cervello, che per le specifiche conseguenze sul lobo
frontale, sul sistema limbico e su altre strutture. Inoltre può essere molto
difficile separare le risposte indotte dai farmaci da quelle indotte dalla
nostra psicologia.
Le sofferenze, gli stati irrazionali o di stress
emotivo, di norma trattate con gli interventi biopsichiatrici, non hanno cause
genetiche o biologiche. È puramente speculativo ed è persino naif asserire che
antidepressivi come il Prozac correggano una neurotrasmissione serotoninergica
ipoattiva (uno squilibrio biochimico della serotonina), o che neurolettici come
l'Haldol correggano neurotrasmissioni dopaminergiche iperattive (uno squilibrio
della dopamina).
I problemi trattati dagli psichiatri non sono
basati su malfunzionamenti del cervello, ma da esperienze di vita di individui
con cervelli normali. Il fatto che un farmaco influenza il cervello e la mente
in una maniera che sembra positiva, non conferma il fatto che tale individuo
soffra di un sottostante disordine biologico. Quando un farmaco sembra efficace
rispetto a un particolare problema, questo spesso dipende dal fatto che esso ha
un effetto soppressivo o energizzante sul SNC. Per esempio, se i pazienti
cosiddetti depressi sono giù sia emotivamente che fisicamente, dare loro un
neurolettico che causa ritardi a livello psicomotorio tenderà a farli
peggiorare. Di questi pazienti si dice facilmente che sembrano migliorare
quando vengono stimolati artificialmente. D'altra parte se i pazienti
cosiddetti “schizofrenici” sono agitati e difficili da controllare, non avrebbe
senso dare loro degli stimolanti. Di questi si dice che sono migliorati se
assumono un neurolettico che riduce o appiattisce la loro risposta emotiva
complessiva. Questi effetti sono ben lontani dall'essere risposte specifiche
per malattie specifiche.
Inoltre, quando per esempio un antidepressivo
induce un eccesso di serotonina nella connessione sinaptica, il cervello
compensa, riducendo la fuoriuscita di serotonina nelle terminazioni nervose e
riducendo il numero di recettori nella sinapsi che può ricevere la serotonina.
Similmente, quando un neurolettico riduce la reattività nel sistema dopaminergico,
il cervello compensa, producendo iperattività nello stesso sistema, cementando
il numero e la sensitività dei recettori della dopamina. A causa del fatto che
il cervello cerca di compensare l'effetto di molti farmaci psicoattivi, i
pazienti possono avere difficoltà ad abbandonare la maggior parte dei
trattamenti psichiatrici. Fisicamente, il cervello può non riprendersi
dall'effetto dei farmaci con la stessa rapidità con la quale viene tolto, tanto
che il meccanismo compensatorio può avere bisogno di settimane o mesi per
tornare alla normalità, dopo che il farmaco è stato abbandonato. A volte, come
succede nella discinesia tardiva, il cervello non riesce più a tornare alla
normalità.
“Nella mia esperienza di esperto medico clinico
e forense”, afferma Peter Breggin, “ho visto pazienti rimanere per anni in uno
stato di seria intossicazione a causa di uno o più farmaci senza che se ne
rendessero conto. Attribuendo le loro condizioni alle loro stesse risposte
emotive o a fattori di stress ambientale, essi possono persino chiedere di
aumentare i farmaci.
La maggior parte degli approcci alla vita
auto-degradanti, dipende dal fatto che la gente che si sente senza speranza e
impotente, tende ad abbandonare l'uso della ragione, dell'amore, e dell'autodeterminazione,
per lasciarsi sopraffare dalla sofferenza emotiva, dai conflitti interni e
dagli stress della vita. Cercano quindi le risposte altrove, fuori da loro. Nei
tempi moderni questo significa spesso rivolgersi a degli “esperti”.
La negazione è una delle più primitive risposte
alle minacce. Le persone evitano di affrontare i problemi e quindi diventano
incapaci di risolverli. La negazione come difesa tende a produrre una vita
inadeguata”.
Per ulteriori informazioni:
Elettroshock. I guasti del
cervello, Feltrinelli, 1984
Brain- Disaibling Tratments in
Psychiatry: Drugs, Electroshock and the Role of the FDA, New York, Springer,
2008
Toxic Psychiatry, 1991, New York,
St.Martin’s Press
The Antidepressant Fact Book,
2001,
Your Drug May Be Your Problem:
How and Why to Stop Taking Psychiatric Drugs (coautore David Cohen) 1999, Da
Capo Press, Cambridge
Talking Back to Prozac, (coautore
Ginger Ross Breggin) 1998, New
York, St.Martin’s Press
The Heart of Being Helpful:
Empathy and the Creation of a Healing Presence, New York, Springer, 1997
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