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Diari dal manicomio
di Mariana Eugenia Califano
Vi ricordate l'appellativo della città di Imola prima
dell'approvazione della legge n°180 del 13 maggio 1978? Vi ricordate
perché questa città si era guadagnata la nomea di “città dei pazzi”? E
ancora, vi ricordate l'Istituo psichiatrico dell'Osservanza? Giorgio
Antonucci con il suo “Diari dal manicomio. Ricordi e pensieri” ci
rinfresca la memoria, condivide con noi la sua esperienza e testimonia
la sua battaglia.
E non è la prima volta. Quando nel 1978, anno
della promulgazione della legge Basaglia, Dacia Maraini incontra
Antonucci per intervistarlo, sceglie di presentarlo utilizzando parole
semplici ma cariche di significato, che trasmettono al lettore
l'immagine di chi si combatte con esemplare rigore: “Giorgio Antonucci
non ha niente del medico tradizionale, indaffarato, autoritario, privo
di abbandoni... La sua faccia triste esprime una dolcezza morbida,
acuta, quasi dolorosa. I suoi occhi sono pieni di una timida assorta
attenzione.” Descrizione che riflette la condizione di Antonucci quale
uomo, che nel suo diario scrive “In città immense, grandi come nazioni,
si vive soli e sperduti come gocce in un fiume. Con la paura e il dubbio
nel pensiero e il manicomio dintorno, mi immaginavo di essere un
vecchio eremita sapiente che aveva scelto la solitudine di sua
iniziativa”.
E della solitudine che lo circonda nella difficile
impresa di ridonare una vita degna ai dimenticati negli istituti
psichiatrici egli ci parla già nelle prime pagine del libro, quando
racconta come nel 1973, è invitato dal professor Edelweiss Cotti, di
Bologna, a lavorare presso l'Istituto dell'Osservanza di Imola con la
qualifica di medico di reparto: “Così un giorno andai a vedere a Imola
per capire cosa mi aspettava. Forse, in quella situazione, la risposta
più saggia da parte mia al singolare invito di Cotti sarebbe stata
ringraziare per le buone intenzioni, rifiutare, salutare in fretta e
andarmene via lontano senza mettere piede in città. Mi aspettavano tempi
molto più duri e molto più aspri di quanto immaginavo. Cambiare quella
situazione non era un lavoro da affrontare in solitudine come in realtà
mi veniva proposto, anche se Cotti come direttore mi prometteva un aiuto
che poi in effetti non mi avrebbe dato. L'istituto in cui ora mi stavo
preparando a lavorare aveva quindici psichiatri tutti tradizionalisti
convinti, ostili anche a piccole innovazioni.”
Arrivato
all'Osservanza, Antonucci chiede di vedere il reparto più difficile,
secondo i pareri dei colleghi e del direttore Cotti. Verrà portato al
“padiglione delle donne agitate” dove scoprirà che le pazienti sono
quasi tutte rinchiuse e legate ai letti di contenzione o agli alberi in
cortile. Nelle pagine del diario abbondano le descrizioni degli spazi,
più somiglianti a quelli di un centro di detenzione piuttosto che a
quelli di una struttura medica: “Il corridoio che ci accoglieva superata
la porta di ferro, aveva sulla destra le celle chiuse da solide e
spesse porte di legno, interrotte solo dallo spioncino. I soffitti del
corridoio erano altissimi e bianchi. Sulla sinistra del corridoio si
notavano bene finestre molto alte, che attraverso le inferriate
lasciavano intravedere un cortile disadorno, costruito in cemento
bianco, con soli due piccoli alberi al centro e circondato da mura
insuperabili.”. Ma il senso di privazione che si respira in questi
luoghi acquista vividezza nelle slanci poetici che Antonucci intercala
alle riflessioni e alla narrazione delle sue vicende. Tra tutte quella
in apertura al diario: “In questa cella di pietra ho perduto i miei
giorni”.
Un incipit che mette il lettore di fronte a quella
condizione di privazione del bene più inviolabile, a quei maltrattamenti
e a quelle torture che hanno minato in forma permanente lo stato
psicofisico di molti pazienti. “Vediamo insieme una cartella del
3/12/1954 del reparto dieci dell'Osservanza: La paziente entra
nell'istituto apparentemente calma, e al medico che l'interroga risponde
con senso logico e parla abbastanza particolareggiata dei suoi disturbi
e afferma di avere proprietà telepatiche. Alle domande del medico
insiste nel confermare il suo disordine mentale, dimostrandosi fiduciosa
in un pronto e rapido ripristino. Aspetto normale e contegno composto e
calmo. ... Si legge dopo che la paziente, sottoposta a trattamento
insulinico ha difficoltà a raggiungere il coma. Il 3 /2/1955 si annota
che per la sua difficoltà a raggiungere il coma si inizia trattamento
combinato con elettrochoc...” Poche righe dopo, Antonucci si chiede
quale fosse lo scopo della cura, oltre alla morte della paziente.[...]
Le pagine si susseguono con ritmo serrato, danno spazio
alle testimonianze di alcuni pazienti e raccontando i continui
conflitti con i colleghi e con il resto del personale ogni qualvolta
egli introduce una modifica al regime tradizionale dell'istituto. “ Dopo
alcuni mesi dall'inizio del lavoro dovetti restare a casa, perché non
stavo bene e quando rientrai al reparto quattordici trovai un'altra
volta le camicie di forza e gli altri mezzi di contenzione. Pensavano
che mi fosse scoraggiato e credevano che non sarei più rientrato. La
presenza di Cotti non era servita a evitare l'arretramento. Al ritorno
non dissi nulla agli altri medici e ricominciai da capo, rimettendo
tutto a posto”.
Le riflessioni sul concetto di follia, che
accompagnano gli episodi narrati, non risparmiano nemmeno il potere
dello Stato. “Durante le guerre giornalisti, intellettuali e scienziati
parlano di follia del potere quando si tratta dei delitti dei nemici,
mentre le stesse cose compiute dai propri governi sono viste come
dolorose necessità dettate dalla logica della storia, o come interventi
utili di natura umanitaria. Sul concetto di guerra giusta basta dire che
ogni stato ritiene giusta la propria e sbagliata quella degli altri. Il
concetto di follia è una semplificazione che impedisce di pensare.”
La
testimonianza di Antonucci sul lavoro presso l'istituto Psichiatrico
Osservanza non lascia indifferente il lettore, è il racconto di un mondo
che ha dell'irreale e dell'inumano. Ciò che egli denuncia è l'ipocrisia
dei medici, degli operatori del settore e a volte dei parenti stessi
dei ricoverati, l'indifferenza e i pregiudizi della società sulla
inclassificabilità della diferenza.
Di Antonucci, Thomas Stephen
Szasz, Professore di Psichiatria emerito presso lo Health Science
Center della State University di Syracuse, in New York e autore del noto
saggio critico “Il Mito della Malattia Mentale” dice “Antonucci ed io
ci troviamo a sottolineare aspetti diversi di uno stesso punto di vista
generale. Diciamo che se stessimo descrivendo una casa di sei o sette
stanze io potrei soffermarmi sull’importanza di una stanza invece che di
un’altra, ma siamo d’accordo sulla casa nel suo insieme: in questo caso
che la casa è tutta da demolire.”
Giorgio Antonucci
Diari dal manicomio. Ricordi e pensieri
Spirali, 2006
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