di Valentina Ascione
Gli Altri, 11 marzo 2011Un viaggio. "Un viaggio tra malattia mentale e carcere, in cui non riesci a distinguere chi è matto da chi non lo è". Eppure per Irene Testa il carcere è pane quotidiano. Con l'associazione radicale di cui è segretaria "Il Detenuto Ignoto", se ne occupa tutti i giorni, da anni, e in questi anni ne ha viste - lei sì - "di ogni". L'Opg, però, è tutta un'altra
storia. L'ospedale psichiatrico giudiziario, il manicomio criminale, è un miscuglio di storie, tutte diverse e tutte accomunate dall'incertezza. Quella di Aversa, poi, è forse la peggiore di queste strutture, uniche superstiti della legge Basaglia. Carlo - lo chiameremo così - si trova lì da pochi giorni, come sua madre aveva scritto in una lunga lettera inviata al “Detenuto Ignoto” e a chissà quante altre associazioni. Come un messaggio nella bottiglia, nella speranza che qualcuno lo pescasse. "Mio figlio non è pazzo, non ha mai ammazzato, mai stuprato, non ha mai fatto rapine nè furti, mai spacciato droga. Negli Opg che fino ad oggi lo hanno ospitato erano tutti concordi nel ribadire che tali strutture non sono adatte a lui", scriveva nella sua lettera disperata di madre sola e malata. E in effetti Carlo non ha proprio l'aria di essere disturbato, anzi. E' bello, bello davvero, alto e con due splendidi occhi azzurri.
E' stato internato per "malattia sopraggiunta in carcere", come molti ospiti di questa struttura del 1800, nella sua versione dei fatti, però, non c'è traccia di patologia. Racconta di essere evaso dagli arresti domiciliari per inseguire una ragazza della quale era innamorato e, una volta riacciuffato, di aver opposto resistenza e sferrato un pugno a un poliziotto. Ciò sarebbe bastato a ritenere che avesse bisogno di cure. Carlo tuttavia non è sottoposto ad alcun tipo di trattamento farmacologico, semplicemente perché non ne ha bisogno. Perché, come sembrano confermare le relazioni di medici e psichiatri, questo bel trentaduenne con alle spalle alcuni problemi di alcol e droga non dovrebbe trovarsi in un Opg. In carcere, magari, dove a quest'ora avrebbe già terminato di scontare la propria pena, ma non qui tra veri o presunti soggetti psichiatrici, condannati a un "ergastolo bianco" perché, proroga dopo proroga, hanno ormai perso ogni contatto con l'esterno e quindi non hanno altro luogo dove poter stare, né qualcuno che possa prendersi cura di loro. O perché non hanno ancora fornito prove sufficienti di un ritrovato lume della ragione e dunque continuano a essere ritenuti potenzialmente pericolosi. Qui, ad Aversa, chi non è matto rischia di diventarlo. E allora è proprio il caso di dire: meglio la galera.
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