martedì 10 maggio 2016

Paula Joan Caplan – I miti utilizzati per giustificare la privazione dei diritti umani alle persone diagnosticate come malate mentali



 


di Paula J. Caplan, PHD.

Chi, in questo mondo, dovrebbe avere il diritto di prendere decisioni sulla propria vita, e chi è tenuto a perdere tale diritto e ad essere sostituito dalla comunità medica e dalle corti?

Nonostante il fatto che nella storia nessuno, nemmeno l’onnipotente Associazione Psichiatrica Americana (American Psychiatric Association) - che produce e trae immensi profitti dalla “Bibbia” dei disturbi mentali [il DSM n.d.t.] - abbia messo a punto una definizione di “malattia mentale”, buona anche solo a metà, e nonostante il fatto che il processo di creazione e applicazione delle etichette di malattia mentale non sia scientifica, alcune di queste etichette possono essere utilizzate per privare la persona etichettata in tal modo, dei suoi diritti umani. Questo è terrificante e dovrebbe terrorizzare coloro che sono stati così etichettati, e coloro che non lo sono, perché la privazione dei diritti umani per motivi del tutto arbitrari è disumano e immorale.


La combinazione dello spettro del terrorismo con gli incidenti di violenza armata, molto pubblicizzati, hanno portato i politici, i terapeuti e il pubblico in generale a incolpare in tutta fretta i “malati di mente” di questi pericoli, e questo viene poi utilizzato non solo per giustificare la privazione dei diritti ai terroristi e ad altri sicari, ma a chiunque abbia un’etichetta di disturbo mentale. Essi possono essere rinchiusi contro la loro volontà, può essere loro ordinato di adempiere qualsiasi cosa un professionista chiami “trattamento del malato di mente”. Non importa quanto queste azioni danneggeranno la persona e che vengano fatte nell’assenza di prove scientifiche che i “trattamenti” di persone a cui sono state date etichette psichiatriche, impediscano la violenza. In altre parole: spesso viene fatto un enorme salto da: “questa persona ha una etichetta psichiatrica” a: “questa persona è quindi pericolosa per se stessa e altri”, anche in assenza di una storia o una segnalazione in corso, che attesti tale pericolosità. Questo salto viene poi utilizzato per rinchiudere le persone e/o “trattarle” contro la loro volontà.

Ora il trattato sui diritti umani delle Nazioni Unite, chiamato CRPD - Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, include il divieto assoluto del ricovero coatto e del trattamento sanitario obbligatorio, e la brillante e instancabile avvocata Tina Minkowitz, conduce una campagna per dimostrare che c'è una vasta base in appoggio a tali divieti. Questo è particolarmente importante negli Stati Uniti, perché 162 nazioni hanno ratificato la Convenzione ONU sui delle Persone con Disabilità, non così gli U.S.A.

La Minkowitz ha lavorato dal 2002 al 2006 alla stesura e per i negoziati del trattato e ha contribuito a garantire che si incorporasse l’articolo 12 nella CRPD, che dice che gli “stati”, i paesi e i governi nazionali vincolati dal diritto internazionale, riconoscono che le persone con disabilità hanno il diritto di prendere le proprie decisioni per quanto riguarda tutti gli aspetti della vita, e che possano farlo liberi dalla coercizione. Si noti che la dicitura di “persone con disabilità” si applica a tutti coloro che sono stati diagnosticati con qualsiasi disturbo mentale (oltre ad altre disabilità). E’ importante notare che l’articolo 14 della CRPD specifica, secondo il testo e l’autorevole interpretazione da parte del Comitato ONU per i diritti delle persone con disabilità, che l’esistenza di una disabilità o disabilità percepita, non può essere utilizzata per giustificare la privazione della libertà, e l’articolo 25 esige che l’assistenza sanitaria venga fornita sulla base del consenso libero e informato.

La parola “percepita” è cruciale, alla luce del fatto che i numeri gonfiati delle categorie elencate come disturbi mentali, nei due principali manuali utilizzati per classificare le persone come malati mentali, hanno reso possibile, anzi probabile, che chiunque entri da un terapeuta o nello studio di un altro professionista, in uno stato che non sia quello di calma e felicità, sarà diagnosticato come affetto da disturbi psichiatrici, mettendo più o meno tutti nella categoria di “percepito come disabile”. Così, un mito cruciale rilevante per la CRPD, è che le diagnosi psichiatriche siano scientifiche, e comunemente applicate in modo appropriato.

Se l’essere classificati come malati mentali, non fosse causa di nessun danno, ci sarebbe meno motivo di allarme. Ma è facile, persino probabile, per i profani, per i terapeuti, per altri operatori sanitari e per i giudici, presumere erroneamente che avere una disabilità (anche una disabilità percepita) significhi avere la propria capacità di giudizio compromessa e che, a chi ha una disabilità (anche una disabilità percepita), non dovrebbe essere consentito fare delle scelte sulle propria vita, i propri corpi e i trattamenti a cui si sarà sottoposti. Spesso il criterio di “pericoloso per se stessi e/o per gli altri” viene usato per giustificare il ricovero coatto o il trattamento sanitario obbligatorio, e questo viene fatto nonostante vi siano prove del fatto che è meno probabile che persone diagnosticate come malate mentali commettano atti di violenza e che è più probabile che siano vittime di violenza.

L’evidenza di questo modello è ancora più straordinario, visto che per una serie di ragioni (ad esempio, gli avvocati della difesa cercano di ottenere le etichette psichiatriche per i loro clienti, al fine di ottenere una riduzione della pena, o lo spostamento dal carcere ai servizi psichiatrici; l’enorme frequenza di carcerati che vengono diagnosticati come malati mentali, in modo che possano essere fortemente medicalizzati, cosa che porta alla riduzione di personale penitenziario), è probabile che le statistiche nel prossimo futuro, mostrino una sempre più elevata correlazione tra le etichette psichiatriche e la violenza. Quindi, ci sono altri due miti rilevanti per la CRPD: che le persone che hanno ricevuto le etichette psichiatriche sono incompetenti nel fare delle scelte circa la loro vita, e che c’è più probabilità che siano violente, rispetto ad altre persone.

Un quarto mito cruciale è che il ricovero coatto e il trattamento sanitario obbligatorio siano benefici (e, di conseguenza, non dannosi). Che questo è un mito viene rivelato dagli alti tassi di suicidio conseguenti alle cure ospedaliere, e nell’aumento dei tassi di suicidio causati da molti tipi di psicofarmaci, così come il calo dei tassi di ristabilimento (recovery) e un aumento dei tassi di disabilità a lungo termine, conseguenti all’introduzione di vari psicofarmaci sul mercato e all’uso dell’elettroshock.

Un altro mito è questo: L’importante parola “ortogonale” si applica alla domanda se le persone diagnosticate come malati di mente siano in grado di fare le proprie scelte e abbiano una buona capacità di giudizio. Noi tutti conosciamo persone che non hanno etichette psichiatriche, ma che fanno scelte terribili e hanno scarsa capacità di giudizio, ma tali limitazioni non vengono utilizzate per privarli dei loro diritti umani. Queste capacità sono ortogonali, sia che uno sia o non sia stato diagnosticato come malato di mente, il che significa che sapere se una persona abbia una diagnosi o meno, non è predittivo rispetto al loro giudizio e la loro abilità di fare le scelte giuste per loro stessi. Un mito correlato è che se qualcuno viene diagnosticato come malato di mente, tutto il suo potere decisionale gli deve essere strappato via, quando a volte la persona ha bisogno di un po’ di sostegno di vario genere, compresa l’assistenza per la compilazione di moduli o di un aiuto pratico nel cucinare o fare la spesa o accudire gli animali nei periodi in cui è in difficoltà (come succede con molte persone che non sono diagnosticate in questo modo).

Lo standard del CRPD è per le persone che hanno delle disabilità o delle disabilità percepite, alle quali deve essere fornita l’opportunità di dare il consenso libero e informato. Questo è molto lontano da ciò che accade con la stragrande maggioranza delle persone trattate dagli psicoterapeuti, per non parlare di coloro che sono privati dei loro diritti umani. Considerate questo: la diagnosi psichiatrica è la base, la prima causa di tutto il male che accade alle persone in e attraverso il sistema di salute mentale. Se non vi fanno una diagnosi, non vi possono curare (o “trattare”), sia che i trattamenti vi siano utili o no. Ma quasi nessuno che entra nello studio di un terapeuta viene pienamente informato e, quindi, quasi nessuno è messo in una posizione in cui potrebbe addirittura dare un consenso informato. Perché? Le ragioni sono tre:

1. Quasi mai viene loro detto: “Affinché la tua assicurazione [sanitaria n.d.t.] paghi le mie fatture, ti devo fare una diagnosi psichiatrica, ma hai il diritto di sapere che le diagnosi psichiatriche non sono scientifiche, che averne una non ti allevierà le sofferenze, e che ottenerne una ti porterà a rischiare una vasta gamma di danni: dal crollo dell’autostima, alla perdita del posto di lavoro, della custodia dei figli e del nulla osta di sicurezza ... fino alla morte dovuta ai trattamenti, giustificati sulla base della tua etichetta”.

2. Non viene quasi mai detto loro: “Sto raccomandando il trattamento X, ma ho intenzione di dirvi tutto ciò che riguarda i potenziali benefici e i potenziali danni che possono derivarne”. Il motivo per cui a loro questo non viene quasi mai detto, è che al giorno d’oggi, la stragrande maggioranza dei trattamenti vengono fatti con gli psicofarmaci e che le cause legali hanno ripetutamente rivelato che le aziende farmaceutiche nascondono volutamente gran parte del danno, quindi non c’è modo per i terapeuti coscienziosi di ottenere tali informazioni, e quindi non c’è modo per loro di trasmetterle ai loro pazienti. Qualcosa di simile accade con l’elettroshock e con i programmi costosi, intensamente commercializzati, chiamati con un nome tipo “neurobiofeedback”, che non hanno dimostrato di essere utili, ma che sono spesso molto costosi.

3.Quasi mai viene loro detto: “Sto consigliando il Trattamento X, ma le descrivo anche la vasta gamma di approcci che sono stati utili per le persone che stanno attraversando quello che lei sta attraversando ... e che spesso sono poco o per niente rischiosi”.
Dato che sono preoccupata per la mancanza di informazione, che spinge nel sistema psichiatrico, le persone sofferenti che cercano aiuto, con enorme rischio di danni e senza sapere quali domande porre e quali raccomandazioni contestare, ho organizzato la presentazione di nove denunce al Dipartimento Etico dell’Associazione Psichiatrica Americana (Ethics Department of APA - American Psychiatric Association), che pubblica e trae enormi profitti dal Manuale diagnostico e statistico dei Disturbi mentali (DSM), le cui categorie erano state usate contro le denunce con effetti tragici.

Abbiamo detto che se l’APA avesse rivelato onestamente la natura non scientifica delle sue categorie e dei rischi di danneggiamento, così come l’avere un’etichetta è molto o solamente utile per ottenere la copertura assicurativa per il trattamento, i querelanti non avrebbero ciecamente accettato le loro etichette ed i trattamenti, per i quali è stata data loro la giustificazione sulla base delle etichette (“Hai il Disturbo Y, così devi accettare il trattamento Z, perché questo è quello che viene utilizzato per le persone con Y”). L’APA ha respinto le querele per motivi spuri e senza un briciolo di attenzione al loro valore.

Cinque di questi querelanti hanno poi presentato denuncia all’Ufficio Diritti Civili del Dipartimento U.S.A. per la Salute e i Servizi Sociali (OCR). Le denunce sono state depositate ai sensi dell’Americans with Disabilities Act, secondo il quale le persone possono essere discriminate per il fatto di essere trattate come disabili (malati di mente in questi casi) quando in realtà non lo sono. Tutti i querelanti avevano sperimentato esperienze di vita disastrosi, ma in nessun modo avrebbero dovuto essere stati diagnosticati come malati mentali. Eppure, secondo il DSM (falsamente commercializzato come scientifico), erano malati mentali, e i trattamenti che erano stati giustificati sulla base delle etichette che erano state date loro, hanno avuto conseguenze devastanti. L’OCR ha respinto le lamentele per motivi spuri e senza attenzione al loro valore.

I risultati di queste denunce forniscono una documentazione cartacea solida, rivelando che negli Stati Uniti l’industria della diagnosi psichiatrica, è del tutto priva di regolamento. Questo la rende ancora meno regolamentata rispetto alle grandi istituzioni finanziarie, le cui azioni non regolamentate hanno gravemente danneggiato l’economia. La documentazione cartacea mostra che sia il gruppo di pressione denominato APA, che ha incassato più di 100 milioni di $ dalla scorsa edizione del DSM e non ha speso un centesimo per rivelare la verità circa il suo manuale, o per avvertire dei danni di cui erano a conoscenza, e l’ente governativo (OCR di HHS), che dovrebbe fornire supervisione e regolamentazione per tutti i diritti, hanno scelto di non fare nulla. Questo fa in modo che per tutti noi sia ancora più impellente fare pressione, affinché il governo degli Stati Uniti ratifichi la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. La perdita dei diritti umani di uno solo di noi, attraverso la pubblicità fraudolenta, l’occultamento e il perpetuarsi dei miti pericolosi, è la perdita dei diritti umani di tutti noi.

Come cittadina degli Stati Uniti, sono imbarazzata e inorridita del fatto che questo paese discuta se ratificare o meno il CRPD, si vuole aggiungere i cosiddetti “Ruds”, cioè riserve, intese e dichiarazioni create dall’amministrazione federale corrente e della Commissione Affari Esteri del Senato. Secondo Minkowitz, questi includono la pretesa che la legge degli USA soddisfi già o superi già gli obblighi che il nostro paese avrebbe in base al trattato della CRPD. Le denunce di cui sopra, che abbiamo presentato - e il rigetto di queste querele dell’Ufficio Diritti Civili del Dipartimento U.S.A. per la Salute e i Servizi Sociali (OCR), smentisce tale affermazione, dal momento che semplicemente non c’è regolamentazione governativa per quanto riguarda la diagnosi psichiatrica, e la diagnosi è il sine qua non del ricovero coatto e del trattamento sanitario obbligatorio.

* * * * *
Originale:  www.paulajcaplan.net
Questo blog è un contributo alla Campaign to Support the CRPD Absolute Prohibition of Commitment and Forced Treatment. 

Per vedere il blog Mad in America per questa campagna clicca qui.
Paula J. Caplan, PhD, è psicologa clinica e ricercatrice, attivista, associata al DuBois Institute, alla Harvard University, e autrice di 11 libri, uno dei quali ha vinto tre premi nazionali per la saggistica e due sulla diagnosi psichiatrica. I suoi libri includono They Say You’re Crazy: How the World’s Most Powerful Psychiatrists Decide Who’s Normal (Dicono che sei pazzo: Come gli psichiatri più potenti del mondo decidono ciò che è normale) e Bias in Psychiatric Diagnosis (Pregiudizi nella Diagnosi Psichiatrica).

Traduzione a cura di Erveda Sansi

Nessun commento:

Posta un commento