La libertà controversa dello “spaventoso”: l’uso della coercizione in psichiatria viola i diritti umani basilari
di Karlijn Roex
Illustrazione di macmcgill |
articolo originale in inglese: https://absoluteprohibition.wordpress.com/2016/03/24/the-contested-freedom-of-the-scary-karlijn-roex/
24 marzo 2016
La detenzione, l’isolamento, la
somministrazione coercitiva di psicofarmaci; nel corso della storia, le società
hanno avuto la tendenza a limitare in modo aggressivo le persone con disabilità
psico-sociali e hanno preferito una strumentalizzazione ossessivo - securitaria, calpestando i
diritti umani
universali. Ma di recente, l'uso della coercizione in psichiatria, è diventata
una pratica molto dibattuta negli ambienti che si occupano dei diritti umani;
testimonianza ne è l'ultimo rapporto di Human Rights Watch [1] sul
contenimento. Questo crescente interesse ha ottenuto un grande impulso dal
recente comunicato della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle Persone
con Disabilità. Basandomi su lavori scientifici, narrazioni degli utenti e
principi morali, sostengo l’appello formulato dal Comitato sui diritti delle
persone con disabilità (CRPD) ad abbandonare l’uso della coercizione in
psichiatria.
Secondo i
documenti autorevoli della Convenzione [2], l’uso della coercizione in
psichiatria è una forma di discriminazione delle persone con disabilità
psico-sociali, e viola il diritto di queste persone a godere dell’autonomia e
dell’integrità personale. Questi principi devono essere rispettati,
indipendentemente da eventuali benefici strumentali che possono derivare
dall’attuazione di interventi psichiatrici coercitivi. Ma i benefici
strumentali percepiti sono esattamente il motivo per cui l'uso della
coercizione in psichiatria è rimasto incontrastato per lungo tempo. Questi
benefici hanno anche un significato morale. Le persone hanno il diritto a
essere protette contro se stesse o contro pericolosi compagni umani. Infatti,
molti sostenitori della coercizione in psichiatria seguono questo ragionamento
etico del “male minore”. Secondo loro, è consentito introdurre un male, se
questo impedisce un male maggiore. Così, l’argomentazione del male minore
giustifica la rinuncia di alcuni diritti umani fondamentali. Questo è
pericoloso, perché in genere i diritti umani si abbandonano proprio quando sono
più necessari [3]. In realtà, questi diritti umani hanno lo scopo di proteggere
le nostre minoranze che fanno da capro espiatorio, dall’essere oppresse nei
momenti di paura, da parte del pubblico. Nei periodi in cui il pubblico ha
paura, alcuni diritti umani diventano un privilegio
della non-paura o, se si preferisce, della “sezione rispettabile della società”
[4].
Nel
contesto qui descritto, i fortunati sono le persone senza disabilità
psicosociali. La paura, al contrario, ha a che fare con una libertà
controversa.
Gli
interventi psichiatrici coercitivi sono decisioni o azioni imposti all’individuo,
senza il suo consenso informato, sulla base della disabilità psico-sociale. A
questo proposito, il CRPD si è espresso contro l’utilizzo di questo standard
della pericolosità, o di qualsiasi altro criterio che sia un modo per
legittimare la detenzione psichiatrica [5]. Per essere chiari, gli interventi
coercitivi che qui vengono discussi, non sono quelli effettuati a causa di un
sospetto criminale o di una condanna penale. Oggi, la maggior parte dei paesi
permettono gli interventi psichiatrici coercitivi, solo quando un individuo è
considerato pericoloso per se stesso o per gli altri. Tuttavia, la valutazione
iniziale di pericolosità viene fatta dagli psichiatri. In questa decisione
iniziale di detenzione psichiatrica di un individuo, un tribunale non è ancora
coinvolto. Questo è molto problematico, perché la prospettiva psichiatrica e lo
strumentalismo dell’ossessione della sicurezza, dominano chiaramente il
processo decisionale chiave, a costo dei diritti umani. Nel momento in cui la
decisione iniziale degli psichiatri è rivista criticamente, alla persona
interessata è già stato applicato un marchio di vergogna. Non solo è stato
applicato questo marchio di vergogna, attraverso la sfavorevole ipotesi
psichiatrica iniziale, che acquista molta autorità epistemologica nelle nostre
società, ma anche per la pratica molto stigmatizzante della detenzione stessa
[6]. E’ quindi molto più difficile per l’individuo in questione guadagnare in
credibilità.
Vediamo
quindi che le condizioni per gli interventi psichiatrici coercitivi sono
diventati più severi nel corso del tempo, ma che non riescono a contrastare
seriamente la pratica della detenzione arbitraria. Questo potrebbe spiegare
perché lo standard più “restrittivo” di pericolosità, non ha portato a una diminuzione
del numero di detenzioni psichiatriche [7]. Probabilmente, l’innovazione ha
piuttosto avuto la funzione di mettere a tacere tutte le voci critiche dal
punto di vista dei diritti umani. E’ stato possibile silenziare, perché sono
state incorporate alcune parti insignificanti degli appelli critici nella
politica attuale, senza che venissero cambiati significativamente i principi
intrinsecamente oppressivi e discriminatori [8]. A quanto pare, nella società vi
è una forte domanda di confinare le persone con disabilità psico-sociali, e uno
degli elementi chiave alla base di questa domanda è la pericolosità percepita.
Proteggere le persone da se stesse: il
diritto di non essere un falso positivo [9]
Ma cosa c’è
di sbagliato in questo criterio di pericolosità? Non abbiamo, per esempio, il
dovere morale di proteggere le persone da loro stessi in caso di necessità?
Ovviamente si! Ma dobbiamo riflettere ancora un momento sulla nostra capacità
di valutare gli stati mentali: quand’è che qualcuno deve essere considerato un
pericolo per se stesso? Permettetemi di prendere come esempio il suicidio. Come
ricercatore di questo argomento, la letteratura mi mostra chiaramente che la
valutazione del rischio di suicidio negli individui, è un compito molto
difficile. La maggior parte delle persone che dicono di volersi suicidare, non
lo fanno, soprattutto le donne [10]. In secondo luogo, è provato che le
valutazioni dei rischi psichiatrici sono realmente inattendibili [11], e
portano a molti “falsi positivi”: persone che sono considerate un pericolo,
mentre in realtà non lo sono. La dichiarazione di pericolosità di una persona,
è in realtà una ipotesi sugli stati mentali e i comportamenti futuri. Queste cose
non sono osservabili e sono difficili da misurare. Anche quando un individuo in
passato ha commesso atti autolesionisti, questo non lo rende necessariamente
pericoloso per il presente o il futuro. I risultati dei test sono suscettibili
di essere di parte e di essere influenzati da pregiudizi comuni, sulle persone
con disabilità psico-sociali [12], sulle minoranze etniche, e sui poveri [13]. Peggio
ancora, la pretesa pericolosità è rigorosamente non falsificabile, almeno a
breve termine: come si può dimostrare oggi che uno non si ucciderà a breve?
Come conseguenza, molti individui sono sottoposti ad interventi coercitivi,
perché sono stati erroneamente etichettati come ‘pericolosi' e non possono
sfuggire facilmente a questa etichetta. Sfuggire all’etichetta di pericolosità
è reso ancora più difficile dagli atteggiamenti di diffidenza che generalmente
il personale ospedaliero ha verso i pazienti mentali [14], e il fatto che le
persone, nel corso del tempo, tendono ad iniziare a comportarsi conformemente
allo stigma, a causa dei suoi effetti negativi su di loro [15]. L’accumulo di
interazioni umilianti, che frustrerebbero qualsiasi persona normale, può
portare a risposte che possono essere definite come ‘aggressive’. Come
reagireste se apprendeste che vi sono state date informazioni sbagliate sul
vostro stato giuridico [16] riguardante qualcosa di importante come la vostra
libertà?
Questi
“falsi positivi” sono persone vulnerabili, come le persone che sono un reale
pericolo per se stesse. Ma si può considerarla ora una strategia saggia, esporre
queste persone ad alcuni dei molto traumatici interventi psichiatrici
coercitivi? Ci sono numerose testimonianze di pazienti e di ex-utenti della
psichiatria, che indicano come per loro questi interventi sono sfibranti e
traumatici. In effetti, alcuni sostenitori dei diritti umani chiamano tortura alcuni
di questi interventi. Ci sono anche indicazioni che l’esposizione a tali
interventi può portare a sintomi di stress post-traumatico e al suicidio [17]. Esistono
narrazioni di utenti, che dicono che gli individui senza alcuna tendenza
suicidaria precedente, sono diventati suicidi dopo essere stati esposti ad
interventi coercitivi come l’isolamento. Le narrazioni di utenti ci dicono
quanto umilianti possono essere queste esperienze, con le persone che perdono
la loro integrità personale, l’umanità e la dignità. Gli individui colpiti
spesso portano con sé questi sentimenti, fino a molto tempo dopo gli incidenti.
Proteggere le persone dai loro pericolosi concittadini: contestare la libertà dell’ ‘Altro’
Ma cosa
succede se una persona non è un pericolo per se stessa, ma per gli altri? Cosa
c’è di moralmente sbagliato nel voler essere protetti contro i nostri
concittadini pericolosi? Beh, niente, ma ovviamente dobbiamo portare motivi
ragionevoli e la prova di questo presunto pericolo. La semplice esistenza di un
disturbo psico-sociale, non può denotare un pericolo. Quando un individuo mi dice
che sta per farmi del male, può essere perseguito per le minacce. Nella maggior
parte dei paesi hanno anche criminalizzato diversi disturbi di ordine pubblico.
Possiamo così perseguire chiunque abbia visibilmente intrapreso i preparativi
per commettere un reato, o che abbia chiaramente cercato di commettere un certo
crimine. Quindi: abbiamo già una grande legge che ci protegge contro i
concittadini pericolosi: il diritto penale! Ancora di più, questa legge
protegge i cittadini contro lo Stato e una comunità iper-paurosa. Non possiamo
semplicemente condannare un individuo sulla base di un semplice sospetto; la
condanna richiede invece che vi sia qualche prova tangibile contro questa
persona.
Con questa
grande legge in mente, perché dovremmo creare un’altra legge speciale per le
persone con disabilità psico-sociali? Perché abbiamo paura delle persone con
disabilità psico-sociali. Un mero sospetto di pericolosità in una persona con
malattia mentale è già abbastanza terrificante, non è così? Perché allora
preoccuparsi riguardo un’evidenza visibile per una condanna penale? Le leggi
sulla salute mentale sono la dubbia innovazione di una società spaventata.
Queste leggi permettono alle comunità di incarcerare persone con disabilità
psico-sociali, quando abbiamo il sospetto che siano pericolose. Questo sospetto
è sostenuto dai risultati di test di, ancora una volta, valutazioni
psichiatriche molto inaffidabili e di parte. Di conseguenza, abbiamo creato due
tipi di cittadinanza: i cittadini “normali” e gli spaventosi semi-cittadini. La
libertà di quest’ultimo gruppo è contestata: può essere negata in qualsiasi
momento, non appena sorge un sospetto di pericolosità. Considerando che la maggior
parte di noi può sentirsi al sicuro e contare sui principi fondamentali dei
diritti umani che rispettano la nostra libertà e la nostra integrità, c’è un
gruppo nella nostra società i cui membri possono essere semplicemente reclusi senza
regolari requisiti legali.
Si tratta
di una perdita sconveniente nelle nostre democrazie moderne, e dovrebbe
riguardare ogni cittadino. Nessun cittadino può ritrovarsi garantito nella
parte 'giusta' del divario, perché i confini tra la malattia mentale e la
normalità sono tempo-dipendenti e non sono dati naturalmente. In passato,
abbiamo visto la 'psichiatrizzazione' dell’omosessualità, del dissenso politico
e della povertà. Questo ci insegna che le leggi sulla salute mentale sono un
modo comodo per disciplinare sottilmente alcune categorie di persone; molto più
agevolmente e sottilmente che perseguire questi devianti in modo esplicito,
attraverso tribunali penali [18]. Anche se le nostre società sono ormai da
considerarsi 'di mentalità libera', o 'post-moderna', dovremmo essere sempre
consapevoli del potenziale disciplinare delle leggi sulla salute mentale.
Questo potenziale disciplinare può essere tossico in combinazione con il fatto
atemporale, che non siamo mai consapevoli delle idee oppressive del nostro
tempo.
Diamole uno
scossone e abbandoniamo l’uso della coercizione in psichiatria. La paura fa
afferrare immediatamente la cosiddetto 'ultima risorsa' dell’intervento
coercitivo, mentre ci sono casi in cui una semplice conversazione sarebbe già
di aiuto. Tale conversazione aiuterebbe anche noi, a conoscere le logiche
specifiche e differenti dietro alla pazzia, e quindi a renderla un po’ meno
imprevedibile e spaventosa.
Karlijn
Roex è dottoranda (PhD-candidate) in Sociologia e attivista per i diritti
umani. Vive in Germania.
Traduzione a cura di Erveda Sansi
Traduzione a cura di Erveda Sansi
[1]
Human Rights Watch (2016, March 20). Indonesia: Treating Mental Health With
Shackles. Human Rights Watch. Retrieved
21 March 2016, from: https://www.hrw.org/news/2016/03/20/indonesia-treating-mental-health-shackles
[2]
Vedi per esempio: CRPD. (2015). Linee guida dell’Articolo 14
della Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità – Il diritto alla
libertà e alla sicurezza delle persone con disabilità. New York:
nazioni Unite; CRPD. (2014). Commento Generale No. 1 (2014). Articolo
12: Uguale Riconoscimento di fronte alla Legge. New York:
Nazioni Unite; Comitato ONU per i Diritti Umani (10 Ottobre 2015). La dignità
deve prevalere – Un appello per farla finita con i trattamenti psichiatrici
non-consensuali – Giornata Mondiale per la salute Mentale.
Nazioni Unite. Riportato il 10 Marzo 2016, da: http://www.ohchr.org/en/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=16583&LangID=E
[3]
Hudson, B. (2009). Justice in a Time of Terror. British
journal of Criminology, Delinquency and Deviant Social Behaviour, 5(49), 702-717;
Roex, K.L. A. & Riezen, Van. B. (2012). Counter-Terrorism in the
Netherlands and the United Kingdom: A Comparative Literature Review Study. Social
Cosmos, 3(1), 97-110.
[4]
Berger, P.L. (1992). Sociology as a Form of Consciousness. In H. Robboy &
C. Clark (edit.), Social Interaction. Readings in Sociology (pp. 6-22).
Richmond: Worth Publishers.
[5]
Vedi ad esempio CRPD. (2015). Linee Guida
dell’Articolo 14 della Convenzione ONU delle Persone con Disabilità-
Il diritto alla libertà e alla sicurezza delle persone con disabilità. New York:
United Nations.
[6]
Goffman, E. (1961). Asylums. Essays on the Social Situation of
Mental Patients and Other Inmates. New York: Anchor Books; Becker,
H. S. (1963). Outsiders. New York:
The Free Press.
[7]
At least in Europe. See: Salize, H. J., Dressing, H. & Peitz, M. (2002). Compulsory
Admission and Involuntary Treatment of Mentally Ill Patients – Legislation and
Practice in EU-Member States. Brussels: European Commission.
[8]
Questa strategia di silenziare le critiche è largamente analizzato dal
sociologo Foucaultiano Mathiesen: Mathiesen, T. (2004). Silently
Silenced. Essays on the Creation of Acquiescence in Modern Society.
Winchester: Waterside Press. See also on this specific topic: Harding ,T.W.
(2000): Human Rights Law in the Field of Mental Health: a Critical Review. Acta
Psychiatrica Scandinavica, 101: 24-30
[9]
Borrowed from Steadman, H. J. (1980). The Right Not to be A False Positive:
Problems in the Application of the Dangerousness Standard. Psychiatric
Quarterly, 2, 84-99.
[10]
Cannetto, S. S. & Sakinosky, I. (1998). The Gender Paradox in Suicide. Suicide
& Life Threatening Behavior, 28(1), 1-23 and Möller-Leimkühler, A.
M. (2003). The Gender Gap in Suicide and Premature Death or: Why Are Men So
Vulnerable? Eur Arch Psychiatry Clin Neurosc, 253: 1-8.
[11]
Steadman, H. J. (1980). The Right Not to be A False Positive: Problems in the
Application of the Dangerousness Standard. Psychiatric Quarterly,
2, 84-99; Madsen T, Agerbo E, Mortensen PB, Nordentoft M
(2012) Predictors of psychiatric inpatient suicide: a national prospective
register-based study. J Clin Psychiatry 73:144–151; Steeg S, Kapur N, Webb R,
Applegate E, Stewart SL, Hawton K, Bergen H, Waters K, Cooper J (2012) The
development of a population-level clinical screening tool for self-harm
repetition and suicide: the ReACT self-harm rule. Psychol Med 42:2383–2394;
Ryan C, Nielssen O, Paton M, Large M (2010) Clinical decisions in psychiatry
should not be based on risk assessment. Australas Psychiatry 18:398–403.
[12]
Link et al., (1999).Public Conceptions of Mental Illness: Labels, Causes,
Dangerousness, and Social Distance. American Journal of
Public Health, 89(9), 1328-1333; Perscosolido, et al. (2013).
The ‘Backbone’ of Stigma: Identifying the Global Core of Public Prejudice
Associated With Mental Illness. American Journal of Public Health,
103(5), 853-860.
[13]
La popolazione dei pazienti psichiatrici ospedalizzati involontariamente
contiene una sovra rappresentazione di individui con bassi redditi, neri e
persone di una minoranza etnica. Guarda per esempio: Salize, H. J., Dressing,
H. & Peitz, M. (2002). Compulsory Admission and Involuntary
Treatment of Mentally Ill Patients – Legislation and Practice in EU-Member
States. Brussels: European Commission.
[14]
Goffman, E. (1961). Asylums. Essays on the Social Situation of
Mental Patients and Other Inmates. New York: Anchor Books.
[16]
Una cosa che sembra succedere abbastanza spesso nei paesi UE: see Salize et al.
(2002)
[17]
For instance: Large, M. M. & Ryan, C. (2014). Disturbing Findings about the
Risk of Suicide and Psychiatric Hospitals. Soc Psychiatr Epidemiol,
49, 1353-1355.
[18]
Guarda i differenti lavori di Michel Foucault su questo argomento
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